Composizione della Setta

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Ciò di cui mi dispiaccio è che finora non ci siamo staccati un attimo dalle peripezie del conte Attilio e di Renzo, come a lasciar supporre che siano i due fuochi dell'ellisse su cui orbita questa storia. Pur tuttavia non possiamo mostrarci così semplici e balordi da far ruotare tutto attorno a soli due Soli, ignorando le altre stelle, meteore, comete e galassie che fanno da sfondo. Per questo, da buoni osservatori del Cielo, sposteremo per ora il nostro cannocchiale sulla costellazione della setta di Aaron, di modo che anche gli altri corpi celesti non siano più oltre ignorati dal nostro savio ed umile sguardo, ma rientrino meritatamente anch'essi al centro dell'attenzione.
Ebbene, la struttura di potere della Setta di Aaron non è gerarchica, come ci si potrebbe aspettare. Tale scelta non si basa tanto sulla funzionalità, quanto sul fatto che Aaron stesso mostrava una predilezione particolare per le figure irregolari. Le piramidi gli sembravano troppo perfette, quasi divine, tanto da essere al di fuori della portata umana. Ed Aaron era orgoglioso di essere un uomo, malgrado tutto.
Aaron, oltretutto, odiava le Sette. Non aveva mai sopportato la loro meschinità, il loro desiderio di nascondersi ma al tempo stesso di fagocitare nuovi adepti. Avevano qualcosa del ridicolo, e, Aaron pensava, se non fossero state così potenti, forse avrebbe davvero riso. Ma potenti lo erano eccome.
Entrare in una setta voleva dire avere a disposizione l'aiuto degli altri membri, e quindi essere trascinati al successo da un enorme mano invisibile. Si poteva soverchiare facilmente chiunque, anche i più intelligenti ed i più laboriosi. Ma a che prezzo! "Guai e gemiti allo stolto che cade nella trappola" diceva "perché perderà la libertà che Dio gli ha concessa. Diventerà una di tante grasse pecore, pronte a fare un'unica cosa: obbedire. A quel punto cosa varrà l'aver vinto qualche volta in più?"
Secondo Aaron esistevano due tipi di sette: quelle atee e quelle religiose, "e queste ultime sono ancor peggio delle prime, perché sfruttano una sí grande meraviglia in virtù della altrui sofferenza."
Perciò la setta di Aaron inizialmente era chiamata "Compagnia di Aaron", ispirandosi ai gesuiti, ma poi le autorità che la conobbero presero a darle il nome di "setta."
In realtà ciascun membro non aveva una predominanza sugli altri, eccettuato un principe che guidava le varie sedi locali. In ognuna gli veniva attribuito un titolo diverso. A Rimini, come abbiamo già visto, era detto "Custode". Non esisteva un capo eletto di questi principi o qualcosa del genere. Per questa ragione presero, tra quei pochi che ebbero la sorte di imbattervisi, la nomea di "anarchici".
Vado ora a presentarvi i personaggi più eminenti, per stramberia o carisma, che vedevano il loro nome comparire sui registri della setta di Rimini.
Nevio Marcibaldi, riverito astrologo di corte, grande conoscitore dell'arte di legare alle imprese umane un messaggio cosmico, e viceversa. Assiduo frequentatore della setta, passava gran parte del tempo vagando su e giù per i corridoi, sempre con in mano un foglio di carta, che mutava di giorno in giorno.
Sabino Allotrio, sapiente filosofo, imbattibile narratore di aneddoti e citazioni di qualunque celebrità del passato. Si gettava spesso nella più azzardata ed avanzata speculazione teorica partendo da fatti od oggetti della più normale quotidianità. Il suo scopo era in quel momento di dimostrare che l'Essere sia Uno, e che dunque la verità è in tutto. "L'Essere, gli Enti, i significati del significabile provengono da un' unica intelligenza sorgentale. Questa fonte irradia ogni cosa, ma senza che ogni cosa se ne accorga." Questo stava insegnando ad un solerte discepolo, prima di interrompersi ad ascoltare la storia di Renzo.
Questo suo discepolo altri non era che Dario Rivola, figlio naturale del compianto Ignazio Rivola, commerciante di tabacco che sul finire della vita si era messo in testa di voler scrivere un libro il cui protagonista non esistesse. Ci pensò e ci ripensò, finché morì senza aver prodotto nulla, lasciando la casa in eredità ad un saggio che era suo mentore e consigliere. Ora il figlio non si dava pace, volendo appurare se quest'ultimo capriccio del padre fosse solo la follia di un vecchio, o avesse qualche fondamento di logica possibilità. Perciò si dedicò, per passatempo, agli studi filosofici, e qui si perse nel grande labirinto mobile di Sabino Allotrio.
Emilia Ascanti (o Ascaldi, sfortunatamente il foglio da cui ricaviamo il più delle informazioni si è un po'rovinato nel corso degli anni) era essenzialmente la controparte di Allotrio: era in tutto e per tutto l'antifilosofa, e teneva questa discipilina per "il pane dei perditempo", ed altre simili espressioni. Le sembrava che, sebbene i ragionamenti dei filosofi millantavano di seguire la logica, nulla di essi potesse essere realmente confermato o confutato. "Proprio per questa sua vaghezza ed inconsistenza" diceva spesso ad Agnese Orlaffi, unica altra componente femminile della Setta di Rimini, e della quale parleremo più oltre, "non può che attirare a sé gente scialba, evanescente ed inconcludente". Qui alle volte soggiungeva con malizia: "Ed infatti la più parte dei filosofi che si contano sono uomini."
Infinite furono le dispute tra lei e Sabino su questo argomento, e nessuno riuscì mai a sottomettere, o perlomeno a chetare l'avversario.
V'era poi un Onorio Egida, sacerdote eresiarca, che andava in cerca di paradossi e contraddizioni all'interno delle Sacre Scritture o dei testi di eminenti teologhi. Finiva in quel momento di snocciolare una nuova "parabola" che gli era saltata in mente, e da cui pensava si potesse ricavare qualcosa di interessante per mettere in imbarazzo il buon Fermo Marini, al cui esame nel frattempo aveva sottoposto la lettura del "Libro Nero dei Gesuiti", e questa, e nessun'altra, era la ragion per cui si era avvicinato ad un così empio testo. Di questa nuova parabola discorreremo più avanti, ché non è questo il momento. Nè aggiungeremo a queste altre parole sull'abate, dato che già abbiamo avuto modo di conoscerlo.
Tommaso Tornante era un piccolo proprietario terriero del circondario, che si era sistemato dando in isposa la figlia all'erede di un ricchissimo contadino. Aveva uno spiccato senso per gli affari, e perciò anche il matrimonio era stato per lui tutta una questione di trattative, da cui ne era uscito al meglio. Costui stava nella setta più che altro per farsi due grasse risate, e prendersi gioco di quei sognatori 'senza arte né parte' come lo scrittore Saverio Sagitta.
Già abbiamo incontrato l'avvocato Ignazio Medeo, che aveva accompagnato Renzo e Gervaso nella setta. Su di egli basti dire che era un buon cristiano, caritatevole e dotato di ingegno. Non mentiva nel dire di non aver mai perso una causa, anche perché ne sosteneva davvero poche, avendo deciso di soccorrere solo quanti avessero realmente subito dei torti. E questo perché "di criminali e complici il mondo ne è già pieno", come soleva rispondere a quanti lo accusavano di codardia per la scarsità di incarichi di cui assumeva la responsabilità.
"Oggi quanti ne hai difesi?" gli domandava il Tornante.
"Quanti erano pronti a giurare su Dio la loro innocenza." rispondeva. "Per questo motivo non offro servizio né a scettici né a pagani." E così era, per l'appunto.
Infine v'erano i due coniugi Irolmi, Rinaldo ed Agnese. Quest'ultima, firmava, almeno sui registri della setta, che siamo riusciti a reperire non senza fatica e permessi speciali da parte di numerose autorità della Setta, col suo cognome da nubile, che era appunto Orlaffi, ed è colei che abbiamo già menzionato in questo capitolo. Essi gestivano un'onorata osteria della zona, che aveva a nome "Lo Scarminale", e poteva considerarsi una seconda sede della Setta, data l'alta frequenza con cui i membri vi si riunivano.
Oste ed ostessa si erano così accaparrati facilmente dei buoni clienti, "non già di quelli che se ne stanno per ore ed ore ad importunare i clienti con i loro dicorsi sconclusionati, e portandosi anco il pane da casa" diceva Agnese, "ma di liberali, onesti, riservati, buoni mangioni e migliori bevitori." completava Rinaldo.
Ed ora, caro lettore, avremmo davvero piacere di concludere questo capitolo, e di rimandare ad maiora maggiori sviluppi: i membri della setta che abbiamo sin qui analizzato sono coloro i cui nomi ricorrono più frequentemente e di cui sono segnate più notizie. Gli altri nomi compaiono saltuariamente, di rado sono seguiti da qualche piccolo cenno sull'età, e la professione viene quasi sempre taciuta. E tuttavia siamo rimasti incuriositi da un nome scritto in inchiostro rosso, pieno di cancellature, come avesse subito una condanna di damnatio memoriae. Su questa pagina non ci sono date, né altri riferimenti che possano darci un'indicazione temporale.
E ciò che più troviamo di interessante è il nome, che siamo riusciti a leggere grazie ad avanzati studi e ricerche nel campo della tomografia a raggi X e computerizzata, evadendo così gli sforzi del cancellatore, e, se permettete, soverchiando il suo tentativo di sfuggire alla Storia. Stolto! Cosa mai può scappare al vigile occhio di questo imponente girifalco? Cosa può passare inosservato ai suoi alacri ed efficienti servitori, tra cui noi stessi arrogantemente ci annoveriamo?
Nulla, nemmeno il nome di Gian Giacomo Truffaldini.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 26, 2019 ⏰

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