Nel nido del cuculo

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Il simpatico gentiluomo che ebbe a nome Alessandro Manzoni, nel capitolo V de "I Promessi Sposi", fornisce una descrizione del palazzo di don Rodrigo, del quale vengono evidenziati la posizione isolata e l'aspetto spaventoso e degradato.
Ora, la dimora del conte Attilio era tutto il contrario. Si trattava innanzitutto di una villa enorme, circondata da un giardino rigoglioso pieno di cedri, lecci, olmi ed alberi da frutta, tenuti in ordine da una ben nutrita schiera di giardinieri. Il vicinato era costituito in gran parte da coloro che erano al servizio del conte, ma non mancavano altre case e villette appartenenti a persone abbastanza di riguardo da non essere scelte come bersaglio di soverchierie, se non di rado. L'atmosfera che si percepiva non era di inquietudine, bensì di bonaria tranquillità, e l'interno, riccamente arredato, aveva nell'insieme l'aspetto, probabilmente voluto, di un circolo di galantuomini.
Quando il conte giunse a casa, scoprì con rammarico che gli ospiti erano già arrivati.
Alla tavola, è bene spiegarlo, erano seduti il podestà di Lecco, tuttavia in carica nonostante l'età avanzata, il Governatore di Milano, l'esimio curato don Francesco Bernardino Visconti, già l'Innominato, e per finire don Rodrigo, Soverchiatore Agonistico (grado leggermente inferiore a quello di "Professionista") insieme alla sua carissima moglie Lucia. Fu proprio quest'ultimo a parlare:
"Ah, cugino! Non sapete che non si fanno aspettare gli ospiti? Vi siete per caso fermato a fare il prepotente con qualche miserabile?" Il conte Attilio si animò:
"Innanzitutto, vi ho già detto mille volte che essere un "Soverchiatore" è ben diverso dall'essere un "prepotente" come se ne vedono tanti in giro: a fare gli arroganti sanno fare tutti, ma la soverchieria è eleganza, distacco e intelligenza. Si tratta di un'arte!"
"In ogni caso, non ho tardato per questo motivo. Ciò che mi ha trattenuto è stato un imprevisto: mi sono imbattuto in un giovane temerario (ecco, quello sì era un "prepotente") che faceva discorsi insensati di giustizia e aveva tutta l'intenzione di farmi fuori, così su due piedi. Per quale ragione" disse rivolgendosi al podestà e battendo un pugno sul tavolo "Per quale ragione gente del genere può girare libera e indisturbata per le strade, senza che ci sia qualcuno pronto a bastonarlo come si conviene?" Il podestà restò un attimo in silenzio, come per riflettere. Poi rispose, eludendo la domanda: "Credo di sapere chi sia quello screanzato di cui parla. Ho ricevuto varie segnalazioni riguardo a un pazzo che si aggira da queste parti blaterando di "giustizia"... sì, proprio questa parola, "giustizia". Il podestà mandò giù un sorso di vino, poi riprese: "Eppure, pare che sia quasi innocuo, e non era mai capitato che avesse attaccato qualcuno. Di solito fa anzi compassione ai contadini, che lo hanno preso in simpatia e spesso gli regalano qualcosa di che cibarsi".
"Credevo che la peste ci avesse reso il servigio di liberarci delle persone di questo genere." osservò il conte Attilio in modo gioco-serioso. "Io credo che sarebbero tutti da impiccare, insieme a quelli che le aiutano."
"Signor Conte, abbia un po' di riguardo per la signora! Lei sa bene quanto ella abbia sofferto a causa di quella malattia." intervenne don Francesco. Don Rodrigo assunse un'aria leggermente accigliata, e guardò Lucia.
Quest'ultima si sentì in dovere di parlare. "Non si preoccupi, signor curato. Per quanto la peste sia stata una dura prova per me, portandomi via mia madre e il mio fidanzato, sono sicura che sia stato un mezzo della Provvidenza per mostrarmi quale fosse la strada giusta da seguire. Mi ha aiutato a capire che quel Renzo (Dio abbia avuto misericordia della sua anima!) era decisamente troppo ribaldo e impulsivo, e se la peste non l'avesse ucciso, sono certa che quello scavezzacollo avrebbe attaccato briga con qualche altra testa calda, e tanti saluti! Io sarei rimasta vedova, con una misera controdote e dei figli da sfamare."  Don Rodrigo si tranquillizzò alquanto dopo questo monologo.
Il conte Attilio prese ancora a parlare: "Sono perfettamente d'accordo con lei, riguardo alla peste. Eliminando bocche da sfamare, ha messo fine alla carestia dilagante, ancor meglio di quanto abbiano fatto questi 25 anni di guerra, e senza costi per le casse dello Stato." Il Soverchiatore innalzò il calice ed esclamò: "Propongo dunque un brindisi alle epidemie, che sono mandate dal cielo per aiutare noi galantuomini nei momenti di difficoltà. Portate 'l'Olivares dei vini', come soleva chiamarlo quel burlone del dottor Azzecca-garbugli."
"Cugino, credo che tu sia un po'alticcio." disse don Rodrigo ridendo, e accettando con piacere che gli mescessero il vino nel bicchiere. Tutti gli ospiti, eccetto Lucia, replicarono quest'ultima passiva azione, e, visto che il padrone di casa aveva tirato fuori l'argomento citando anche il conte duca, si misero a discutere della guerra.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora