Un altro tentativo, un altro monastero

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Pescarenico, venerdì 15 maggio 1643

Di fronte alla imponente ed austera porta del convento cappuccino stavano tre persone, di cui ne conosciamo due.
Renzo questa volta non aveva avuto bisogno di sottostare a noiose procedure burocratiche, in quanto la persona che voleva incontrare non possedeva un alto rango ecclesiastico, ma era come se lo avesse avuto, in quanto la sua fama di santo era nota a tutti da quelle parti, e sembrava che questo pio frate guardiano conoscesse e fosse amico un po'di tutti, e che da tutti fosse rispettato; dunque doveva essere piuttosto influente. Per queste ragioni Renzo si chiedeva come mai si fosse spinto fino a Monza prima di pensare a questa migliore soluzione.
La terza persona era appunto il frate guardiano del monastero, padre Teopoldo.
Questa volta Renzo riteneva di avere maggiori possibilità di successo, e traspariva una certa fiducia di sé ed un forte ottimismo.
Il padre lo salutò amichevolmente, e Renzo ricambiò con un saluto cortese. In seguito rifiutò l'offerta di accomodarsi all'interno del convento, dicendo che preferiva restare all'aria aperta in quanto era una bellissima giornata. Un'altra ragione non trascurabile era che la presenza di altri monaci lo avrebbe messo a disagio, ma di questo non fece parola. Quando il padre, assumendo un'espressione bonaria, chiese la ragione di una così piacevole visita, Renzo restò leggermente interdetto: si chiedeva se fosse la cosa migliore rendere una persona così pura e onesta, che aveva dedicato la propria vita al bene, partecipe di un progetto che sfiorava la vendetta. Vendetta? No, la sua non era una vendetta, era un gesto mosso da sentimenti di giustizia e di altruismo. Era stata quella badessa a mettergli in testa l'idea che il suo progetto fosse moralmente condannabile... e questa idea gli frullava ancora in qualche scompartimento del cervello.
Alla fine riuscì a vincerla, e disse al frate: "Padre, so che lei è un uomo giusto ed irreprensibile, e le chiedo se è possibile per degli innocenti ottenere un po' di giustizia, quella giustizia che meritano e che aspirano."
Il frate Teopoldo sorrise benevolmente, e rispose: "Lei sa, signor Tonio, che gli innocenti sono sotto la tutela di Dio, e che Egli si fa in ogni istante loro custode e protettore."
Questi discorsi risvegliavano in Renzo ricordi lontani: in questi momenti il fantasma di Lucia si faceva vivo, e premeva, martellava il suo cuore afflitto, alimentando l'inveterata ira che il tristo covava dentro di sé, e rivolgeva contro le soverchierie.
"Padre, sarò franco. Io credo che non si possa stare con le mani in mano ad attendere un intervento del cielo. Sono convinto che i miracoli esistano, ma anche che si debbano andare a cercare. Il mio progetto è rovesciare il potere dei Soverchiatori, e liberarci così dal loro giogo." Il padre sorrise ancora, e rivolgeva a Renzo con i suoi grandi occhi verdi uno sguardo di comprensione, di lieve malinconia, e di misericordia. Il baldanzoso uomo (purtroppo oramai non possiamo chiamarlo "giovane", sebbene il suo carattere fosse rimasto invariato in tutti quegli anni) interpretava l'atteggiamento del padre come un gesto di scherno, e si irritava.
Il frate disse: "Caro figliuolo, lei ha buon cuore, e i suoi propositi sono molto gentili ed altruisti. Le voglio dare un consiglio, e le imploro di seguirlo: il male è sempre in agguato, nascosto anche dietro alle buone intenzioni. Spesso non è facile distinguerlo dal bene, e così il Diavolo inganna tante persone oneste e corrompe i loro animi. Mi raccomando: non si lasci guidare dalle emozioni, ma da ciò che ritiene più giusto. Ora mi dica: è ancora convinto di voler combattere i Soverchiatori, qualunque cosa ciò comporti?".
"Sì!" rispose Renzo. Era già da tempo giunto alla conclusione di essere sulla strada giusta, e volle dare retta a questo sentimento. "Sì" ripeté "perché sono convinto che sia la cosa migliore."
Il frate sembrò molto soddisfatto. Lanciò un'occhiata a Gervaso e qualcosa lo rese ancora più soddisfatto. "Molto bene." disse "In tal caso io non ho nulla in contrario. Se sente che Dio è dalla sua parte potrà compiere qualunque impresa, ed io farò ciò che è in mio potere per aiutarla."
Renzo ringraziò infinitamente il frate, e gli spiegò quale sarebbe stato il suo compito. "Quando un bravo o un qualunque tipo di Soverchiatore verrà qui per chiedere asilo, io vorrei che i monaci tentassero di convincerlo ad abbandonare la sua professione, e allo stesso tempo ad osteggiare coloro che continuano a praticare soverchierie. Se ciò funziona, otterremmo un vero e proprio esercito, con il quale potremo mettere paura ai nostri nemici. Le giuro che spero quanto lei di non doverlo mai far scendere in campo."
Il frate annuì. "Immagino che non sarà semplice convincere quelle teste calde dei miei colleghi ad attuare un simile piano. D'altra parte, un progetto di questo calibro non può che richiedere grandi sforzi, ed io le prometto che mi impegnerò affinché il bene trionfi."
Al che potrete immaginare quanto fosse grande l'euforia di Renzo. Gervaso, che non era mai intervenuto nel dialogo, dal canto suo, vedendo il suo amico così felice, non poteva che esserlo di rimando, e diede sfogo al proprio entusiasmo in maniera ancor più manifesta, urlando e facendo i salti di gioia.
E così i due amici si avviarono per la strada di ritorno, lungo la quale Renzo non poté fare a meno di ricordare la generosità e la bontà del frate, oltre che la propria gioia di vedere il piano prendere forma. Gervaso rispondeva ad ogni intervento con uno smagliante sorriso.
Il frate, mentre osservava i due allontanarsi, disse fra sé: "È un bravo ragazzo: e anche suo fratello, certo, non deve avere vita facile a tenere a bada lui e la sua indole impulsiva."

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora