Padre Teopoldo agisce

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"Fa...fatelo entrare." balbettò Attilio, colto alla sprovvista da cotal imprevisto. Il maggiordomo se ne andò immantinente e poco dopo la porta si riaprì per lasciar passare due servitori, in mezzo ai quali spiccava, vuoi per la poderosa stazza, vuoi per l'indiscusso carisma, il frate Teopoldo.
Egli salutò tutti i presenti segnandosi ripetutamente, ed elargendo benedizioni, per poi prendere la parola: "Normalmente prima di presentarmi così d'improvviso in casa di un sì valente galantuomo ci penserei due o anche tre volte, ma son qui per trattare di un affare piuttosto urgente. Tuttavia mi sembra di aver colto un brutto momento, in quanto posso ben vedere che avete dei rispettabili ospiti..."Non farà male aggiungere, per inciso, che padre Teopoldo conosceva ed era conosciuto da tutti i presenti, soprattutto in quanto frate guardiano del monastero, come avevamo già accennato. Il conte Attilio rispose: "Ma padre, non si deve scusare. Non deve assolutamente. Se mi rifiutassi di accoglierla non potrei più considerarmi un cristiano." Intanto gli venne in mente che questa frase avrebbe potuto benissimo dirla suo cugino, e ciò lo irritò. "Qual è dunque questo affare per cui mi siete venuto a parlare?"
Il frate guardiano spostò rapidamente lo sguardo su tutti i presenti, come per accertarsi che non gliene fosse sfuggito nessuno, e poi disse: "In verità, signor conte, preferirei parlarvene in privato: d'altronde, se preferite, possiamo anche discorrere in pubblico, ma voi terrete certamente alla vostra riservatezza..."
"Caro frate, non c'è nulla ch'io abbia fatto di cui mi possa vergognare, in special modo di fronte ai miei più cari amici e collaboratori. Il colloquio si terrà qui, in presenza di tutti". In questo modo il conte cercò di mantenere il comando della situazione, e allo stesso tempo di tenere vicini a sé gli altri Soverchiatori, in modo che potessero dargli manforte. La verità è che Attilio si ricordava fin troppo bene di quella volta in cui il cugino ricevette la visita di un altro frate, e associava a quel ricordo anche l'inizio del decadimento etico, ovvero della perdita di autorità, di don Rodrigo.
Ora l'arrivo del frate guardiano gli aveva sinistramente fatto tornare alla mente quella vicenda, e Attilio era deciso a non commettere gli stessi errori del cugino. <Non riusciranno a intrappolarmi. Sono pur sempre il conte Attilio, Soverchiatore di Mestiere e Professionista.>
"Benissimo." rispose Teopoldo come intercettando i suoi pensieri. "In tal caso vi chiedo cortesemente che le vostre Soverchierie termino oggi stesso, in maniera definitiva."
Il Conte non si aspettava un attacco così diretto, sebbene immaginasse che a questo puntasse il frate.
"Signor frate, messere, non vi voglio certo far una colpa per ciò che state facendo: è il vostro mestiere. Ora potrei chiedevi a cosa vi riferite, poi guadagnare un po'di tempo, e infine cacciarvi di casa sconfitto (ma sconfitto chi, poi?), tuttavia questo è ciò che farebbe un Dilettante. Dal canto mio, come vi ho detto, non mi vergogno di nulla che ho fatto, e la mia posizione è irremovibile. Gente che si pente alla prima crisi di coscienza, che si converte e si dà alla vita sacerdotale o monastica, non ha nulla da spartire con me, e io nulla con loro."
"Ben detto." dissero all'unisono il Tomei e il Baltassi. Il giovane Benedetto aveva gli occhi pieni di ammirazione, e volgeva lo sguardo ora al Conte ora al frate.
Il frate, senza scomporsi, riprese la parola: "Mio buon amico, lo vedo bene che siete in fondo un'anima buona, ma tormentata. Datemi retta: finitela con questo gioco. Sarà molto più semplice, e non avete che da guadagnarci."
"Parlate bene voi, in maniera semplice e diretta. Ma ascoltate: io so di cosa state parlando... la morte, la morte ci attende inevitabilmente, e allora saremo sottoposti ad un giudizio individuale, non è così? Bene, io non ho paura della morte, non ne sono spaventato. Se dovrò rendere le mie ragioni al Signore, non avrò problemi a farlo; e se poi non bastasse, e meriterò l'inferno, almeno poi vi potrò dire com'è fatto."
"Voi non ragionate, vi comportate da bambino capriccioso...
"Tanto meglio. Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. (1) Non è forse Vangelo, questo? I bambini, lo sanno tutti, sono cattivi nella loro innocenza, infidi nella loro falsa bontà, bastonatori nel loro essere bastonabili."
"Suvvia, siete un galantuomo, non potete darvi a questi vaneggiamenti. E poi non avete scelta: Dio, se non vi fermerà con la coscienza, lo farà per mezzo della legge. Non riderete più in faccia alle gride come finora: siete rimasto da solo, non avete più alleati. Il vecchio podestà è morto, e adesso non sfuggirete più alla nostra giustizia. Il tempo in cui ve ne facevate beffe è finito."
"Il podestà è morto?" Il conte Attilio fu colto alla sprovvista, ma cercò di mantenere un tono di voce fermo e deciso. <Non c'è mai stato da fare affidamento su di lui. Era proprio il tipo capace di morire nel momento più sbagliato> pensò.
"E di cosa mi accuserete? Di dare vitto e alloggio a qualche disgraziato, in cambio di poche semplici commissioni?"
Dai seduti al tavolo sorse una debole e breve risata. Il padre Teopoldo prese posto di fianco al giovane Benedetto, e proseguí: "Signor conte, non vi conviene fare il gradasso: non è forse vero che l'altro giorno avete commissionato un assassinio?" Attilio si aspettava che Teopoldo avrebbe fatto riferimento a ciò, eppure non riusciva ancora a capire quali fossero le intenzioni del frate.
"Un assassinio? Io ho cercato di mettere in riga un delinquente, e voi mi rimproverate?"
"Signor Conte, vi chiedo di ragionare su quanto vi sto dicendo. Non avete seguaci, se non un numero tanto esiguo da non metter paura ad un topo di campagna. Vi volete ostinare nello svolgere un'attività dannosa, che genera vittime, povertà e malessere. Tutti vi sono contro, e quand'anche ammirevolmente vogliate difendere la vostra (sbagliata) ideologia, non ci sarà nessuno ad applaudirvi, o a prendere le vostre parti. Lasciate perdere la Soverchieria, e farete un favore a voi stessi, prima ancora che a noialtri."
Il conte Attilio reagì come punto sul più vivo, e da quello spregiudicato omiciattolo qual era, volle sferrare un ultimo prodigioso attacco al suo nemico. Parlò inizialmente a scatti, accecato dallo sdegno, per poi riassumere la lucidità man mano e formulare un piccolo discorso.
"Voi non capite, anzi, non volete capire. Io non sono un paladino o un eroe, ma un Soverchiatore. In quanto tale, io ho certi piani, certi disegni nella mia testa, che spingono, agitano, rimescolano il mio sangue, non mi lasciano stare finché non li ho fatti uscire da qui dentro e tradotti nella realtà. Vi dedico tempo, impegno, massima dedizione. Trascorro ore intere, pomeriggi interi, giorni interi, spesso portandone avanti più alla volta, muovendomi tra una decina di fronti per cercare di ultimare almeno uno di questi grandi propositi. E in che modo vengo ripagato? Ricevo sberle da ogni parte, vengo scoraggiato, intimidito, ricattato e sbeffeggiato. Vedete, in questi giorni mi è divenuta chiara una cosa: un Soverchiatore è un incompreso. L'odio che da tutti riceve è il prezzo da pagare per la sua nobile professione. Checché ne diciate, la Soverchieria è un'arte, e non mi stancherò mai di ripeterlo." Il Conte sembrava esausto, e si lasciò cadere su di una sedia. Si portò una mano al capo, che gli doleva terribilmente, e si accorse di avere la febbre.
Nel frattempo tra i presenti era calato il silenzio. Nemmeno il frate Teopoldo sapeva esattamente cosa dire. Improvvisamente sentirono un grido proveniente dall'esterno:
"Moiano gli eroi! Viva i Soverchiatori!"
Dopo qualche secondo Tomei commentò, sghignazzando: "Che strano! Sembrava la voce d'un fanciullo." Baltassi si affacciò ad una finestra, e diede sul cortile uno sguardo dall'alto. "Più che strano! Voglio proprio vedere chi è stato."
Ma Diego, il figlioletto di don Rodrigo, era già scappato via.



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Note:
(1) Mt 18, 3

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora