Un'allegra battuta di caccia

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Lecco, Sabato 16 maggio 1643

"Buongiorno, signor Truffaldini". La voce del conte Attilio aveva sempre un tono gioviale, quando parlava con gli amici, e forse questo era uno dei motivi per cui ne aveva parecchi, al contrario di come ci si possa aspettare da un Soverchiatore.
Quel giorno si trovava appunto con alcuni colleghi e vecchie conoscenze in una radura non molto distante dalla sua dimora, al fine di dilettarsi con quell'intramontabile passatempo che è la caccia.
Tra gli individui che trascorrevano il loro tempo con lui figurava il buon padre Teopoldo, che era stato invitato lì in quanto comune piacevole conoscenza del conte e del tenutario della radura, un certo don Guido Aaroni. La doppia "a" del suo cognome, probabilmente dovuta ad un semplice errore di un semplice impiegato all' Ufficio Anagrafe, aveva incuriosito tutti i suoi amici, in passato, tanto che era divenuto piuttosto noto, in quei dintorni, per questa sua peculiarità, e si spendevano dicerie e leggende al riguardo. "Atqui due 'a'possono solo indicare due inizi, due punti di partenza: Quod ha due partenze non ha una fine, ergo (1) il nome dev'essere un pretenzioso augurio di non incontrare mai la fine della vita." "Assolutamente no! Aronne è nome biblico, e a volte è traslitterato in 'Aaronne'. Ciò dimostra che don Guido ci nasconde un'origine giudaica." "Ma allora le due 'a' devono essere ricollegate a qualche codice gematrico." "Indubbiamente." E così via.
Tornando a noi, il conte Attilio stava discorrendo con il frate e con don Guido, quando Gian Giacomo comparve all'improvviso alle sue spalle e lo salutò. Il conte lo invitò ad unirsi al gruppo, e stava per presentarlo ai suoi amici, quando vide Teopoldo mettergli una mano su una spalla e salutarlo con affetto.
"Dunque vi conoscete già. D'altronde so bene che il signor frate è famoso da queste parti."
"Conoscerlo?" disse il frate "Io e Gian Giacomo ci incontrammo per la prima volta in un carcere spagnolo. Ero il suo confessore a quei tempi, e tra noi nacque subito una profonda amicizia."
"È solo grazie a lui se sono riuscito a venire qui nel Ducato di Milano. Il padre mi accolse nel suo convento finché non fui in grado di cavarmela da solo." disse Gian Giacomo inchinandosi in segno di riconoscenza.
A questo punto fu don Guido a parlare: "Molto piacere, signore, il mio nome è Guido Aaroni. Sì, ha sentito bene, Aaroni con due 'a'."
"Signor Guido, non mi tolga l'onere di fare le presentazioni: è solo mio dovere. Costui è Gian Giacomo Truffaldini, e lavora per me." spiegò il conte Attilio orgogliosamente.
"Molto lieto, signor Truffaldini." disse don Guido stringendo vivacemente la mano alla sua nuova conoscenza "E, mi dica, di preciso di cosa si occupa?"
"Mestieri rischiosi." rispose Gian Giacomo "soprattutto legati all'investigazione sulle mosse della concorrenza e alle conseguenti misure da prendere. Inoltre proteggo il signor conte dai suoi nemici personali."
I quattro si addentrarono in un bosco con i loro segugi in cerca di prede; in particolare, il loro scopo era cacciare cinghiali.
L'impresa non era facile, e durante la prima fase della caccia riuscirono a prendere solo leprotti e fagiani, senza vedere nemmeno l'ombra di un cinghiale.
Dopo un po' Gian Giacomo riuscì a scorgerne uno dal fitto del fogliame. Con la calma che si addice ad un predatore prese la mira e sparò, freddandolo sul colpo.
Gli altri tre non mancarono di fargli i dovuti complimenti.
"Che esemplare! Guardi che mantello rosso: vuol dire che era giovane." osservò don Guido
"Dunque ha la carne tenera come il burro." fu il commento del conte Attilio.
"Che mira! Lo ha colpito in piena testa." notò Teopoldo
"È l'esperienza." rispose Gian Giacomo laconico.
Don Guido, guardando la bestia, disse: "Lo ha proprio lasciato secco. Più secco di re Luigi!
"Parlate di Luigi XIII? Non sapevo fosse morto. Allora si è finalmente deciso a tirare le cuoia."  disse dapprima con perplessità e poi con entusiasmo il conte Attilio.
"Signor conte, dove vivete?" lo riprese don Guido "È sufficiente farsi spedire da Milano i fogli con le notizie. Stanno anche cominciando a stamparli, in questi ultimi anni."
"Mi dovete scusare. Voi siete un uomo al passo coi tempi, mentre io non sono a conoscenza di codesti ingegnosi artifizi moderni." ammise il conte. "Dunque mi dicevate che il re è morto?"
"Due giorni fa." si intromise il padre Teopoldo "E ha lasciato scritto nel suo testamento di non volere per sé onorificenze e funerali pomposi per non assorbire le risorse dello stato."
"Macché! Lo ha sicuramente fatto per accrescere il prestigio della sua casata, passando alla storia come un re umile. Suvvia, quanto mai potranno costare due arredi funebri e qualche festicciola in confronto alle risorse di cui dispongono?" commentò il conte Attilio essendosi fatto un'idea più o meno precisa dell'accaduto.
Nessuno ebbe obiezioni da muovere.
La battuta di caccia proseguì, e Gian Giacomo restò l'unico ad aver preso un cinghiale. Ma se a livello di qualità egli era insuperabile, quantitativamente il padre Teopoldo lo era ancora di più, guadagnando un bottino di 8 lepri e 12 fagiani.
"Piano, signor frate, o esaurirete la fauna della riserva." gli disse scherzosamente il tenutario don Guido.
Egli non sapeva che a distanza di qualche annetto sarebbe stato introdotto davvero un limite massimo di capi da uccidere durante una battuta di caccia.
Dopo che gli amici si furono congedati, ognuno prese la propria strada, fuorché Gian Giacomo, che seguì il conte.
"Ho buone notizie, signore." disse al Soverchiatore mentre questo stava salendo sulla propria carrozza.
"Oh, finalmente! Avete scoperto qualcosa su quel furfante?"
"Sì. I nostri sospetti erano più che fondati. Don Tonio Biroccini è proprio la persona che cerchiamo."
"Ottimo. Occupatevi di lui, e vedete bene di far passare la cosa inosservata, mi raccomando."
"Non c'è bisogno che me lo ricordiate. Egli è già un morto che cammina, e quando avrò finito avrà perso anche quest'ultima capacità".

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Note:
(1) Atqui introduce una premessa a un ragionamento
Quod = ciò che
ergo = perciò
Ho voluto riprendere, con qualche modifica, il sillogismo del podestà di Lecco nel capitolo V de "I Promessi Sposi"

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora