Sentimenti di opposizione

70 10 7
                                    

Ma com'è possibile - direte voi - che esistano solo Soverchiatori da una parte e Soverchiati dall'altra, e che questi ultimi cedano sempre così facilmente ai primi?
Diciamo che per la maggior parte il mondo andava proprio in questa maniera, ma se non ci fossero state eccezioni non ci sarebbero storie da raccontare, e tutto si riassumerebbe in poche frasi essenziali.
Passiamo dunque a trattare di queste eccezioni, vere e proprie forme di opposizione al sistema che abbiamo incontrato fino ad ora. In realtà ci siamo già imbattuti in uno di questi individui: mi riferisco chiaramente al brigante che aveva sfidato a duello il conte Attilio sulla strada tra Olate e casa sua.
Dunque lasciamo per il momento il conte e i suoi amici, e vediamo cos'accadde al bandito dopo che...
Ora basta!
Cosa? Caro collega, mi sto accingendo a raccontare le vicende dei personaggi. Non ne ho forse diritto, in qualità di narratore?
Certo che no, se continui ad usare un linguaggio pieno di giri di parole ed espressioni inutili. Stai rendendo ridondante il testo, e questo può avere un senso quando parli dei nobili, immersi nella cultura barocca, ma non puoi parlare della gente comune in questa maniera. Lascia fare a me!
E va bene, se insisti. Ma se i nobili e la gente comune si dovessero incontrare, a chi spetterebbe il ruolo di raccontare?
Dipenderà dal protagonista della vicenda. E ora, se non ti dispiace, sloggia!

Molto bene. Permettetemi di presentarmi: come il precedente narratore, ho anch'io partecipato alla ricerca che è stata fatta per mettere a punto questo libro, che è consistita in un'attenta analisi dell'opera di Manzoni e di testi storici, al fine di prevenire le osservazioni dei nostri critici lettori (in senso positivo, naturalmente). Colgo anzi l'occasione per chiedere loro di segnalare qualunque informazione che trovino non corrispondente al Santo Vero. Ma basta! Sto cominciando ad assomigliare al precedente narratore che sembrava uscito dal XIX secolo. Non voglio più annoiarvi, torniamo al bandito.
Dovete sapere che lo scontro con il conte Attilio aveva avuto uno spettatore, e non mi riferisco al vetturino, che era stato tutto il tempo rintanato al suo posto. Si trattava di un vecchio amico del bandito, di nome Gervaso.
"Renzo!" proruppe avvicinandosi al brigante "Ti credevo morto a causa della peste! E sei scampato per miracolo ad un duello!?" A questo punto scoppiò in lacrime: evidentemente era molto sensibile.
"Gervaso, ci siamo incontrati tre mesi fa a Lecco e in quell'occasione ti avevo spiegato ogni cosa, perché ti eri dimenticato tutto!" Il brigante di nome Renzo cercò di dissimulare l'emozione, ma era chiaro che anche lui fosse felice di vedere il suo amico. "Inoltre, ti avevo detto di non chiamarmi più con quel nome: per tutti, Lorenzo Tramaglino è morto il 25 luglio 1630 a causa della peste bubbonica, e il suo cadavere è stato gettato in una fossa comune." Gervaso, che non era un campione di acume, restò per un po'perplesso, con la bocca aperta. Pareva proprio un ebete. Alla fine sembrò svegliarsi da quella sorta di torpore:
"Ah, giusto... Ma, caro Renzo, come riuscisti a far credere che fossi morto?"
"Dannazione, Gervaso! Usai con il tuo consenso il cadavere di tuo fratello, non ricordi? E non ricordi che io assunsi la sua identità?"
"Mio fratello... Tonio!" Il sensibile Gervaso scoppiò nuovamente a piangere.
"Dai, ora non piangere. Giurai a Tonio che sarei stato come un fratello per te, ma purtroppo gli eventi ci hanno tenuti lontani. Ora io sarò Tonio, d'accordo?"
"Tu sei Tonio?" sussultò Gervaso.
"No, mi sono spiegato male." rispose subito Renzo per evitare che l'amico pensasse di avere davanti un fantasma. "Volevo dire che tu dovrai fingere che io sia Tonio, e mi dovrai chiamare 'fratello'. Hai capito?"
"Certo, Renz... cioè fratellone, tutto chiaro".
"Ottimo. Ora andiamo in un'osteria: così potremo mangiare, e io ti potrò parlare di un progetto che ho in mente."
Il buon Gervaso non si fece ripetere due volte l'invito, e i due si avviarono, da buoni compagni di disavventure, in cerca dell'osteria più vicina. Durante il tragitto Renzo si tolse il ciuffo finto che aveva usato e lo ripose nella sua bisaccia; quindi tirò fuori un elegante panciotto e una cappa di lino. Infine mostrò a Gervaso un bastone che nascondeva al suo interno una sottile lama, suscitando lo stupore dell'amico, che non aveva mai visto un cosiddetto "bastone animato".
Raggiunto il locale, l'oste salutò Renzo con un deferente inchino, e gli servì da mangiare con una velocità impressionante.
La locanda era quasi deserta. A un tavolo sulla sinistra erano seduti due loschi individui, che potevano benissimo essere due bravi. Tali creature infatti, sebbene in parte decimate dalla peste, continuavano ad esistere. In fondo a destra, invece, stava in piedi un uomo sulla trentina, dai capelli corti, contrariamente alla moda dell'epoca, vestito in maniera semplice ma elegante. Portava un cappello nero con una striscia bianca orizzontale e una lunga piuma di corvo; quest'ultima lo faceva vagamente assomigliare ad un Alpino. Qualcosa in questo individuo fece decidere istintivamente a Renzo di scegliere un tavolo a sinistra.
Dopo che si furono seduti, Renzo cominciò a parlare sottovoce: "Come avrai potuto notare, qui sono abbastanza rispettato. Questo perché in questi anni, grazie ad opportuni investimenti, sono riuscito ad accumulare un discreto patrimonio, e ora Tonio è considerato in tutto e per tutto come un gentiluomo. Ogni tanto, come poco fa, assumo l'identità di un mendicante, e vago in cerca di cibo e di informazioni sui Soverchiatori. Se mi imbatto in qualche malfattore, lo catturo, e in cambio il console mi permette di svolgere queste attività indisturbato. In seguito sotto le spoglie di Tonio elargisco sempre doni alle persone che mi hanno aiutato, e dunque sono ritenuto da tutti caritatevole."
"E adesso non ti agitare. Il mio piano è..." continuò, abbassando ancora di più la voce. Questo comportamento attirò l'attenzione dell'uomo con il cappello nero su loro due. "Il mio piano è quello di fomentare una rivolta contro i Soverchiatori. Credimi: sono certo che possiamo farcela, e la giustizia infine trionferà!"
Non si capì se Gervaso avesse inteso ogni cosa. A ogni modo, rispose ad alta voce: "Certo che sei stato fortunato a scampare al duello con Attilio il Sov..." Una feroce occhiata di Renzo lo fece smettere di parlare, ma tutti avevano sentito.
L'oste si avvicinò e domandò: "Illustre don Tonio, non mi dica che si è scontrato con il conte Attilio! In tal caso, sappia che nemmeno il mio pasticcio di rognone sarebbe stato in grado di farla riprendere dai traumi subiti." Un'affermazione del genere, detta da un oste, voleva dire molto. Renzo si affrettò a rispondere: "Ma certo che no! Il mio amico si riferiva ad un furfante di nome Attilio, che di mestiere faceva il sovrintendente ai lavori in una filanderia, che si aggirava nei dintorni di Lecco. Egli mi ha aggredito, ma sono riuscito a salvarmi nascondendomi in una chiesa. Voi sapete che la spada non è il mio forte." L'oste parve essere contento della spiegazione, così come i bravi seduti al tavolo, che non avevano voglia di gatte da pelare. Il misterioso cliente lasciò che i due uscissero dalla locanda, poi si avvicinò al balcone, e domandò chi fossero. "Brave persone" rispose l'oste "uno è un gentiluomo di nome Tonio, e l'altro è suo fratello Gervaso, un sempliciotto, ma di buon cuore".
Il sicario rifletté un po' tra sé.
'Dunque quello è il famoso benefattore di cui parlano tanto in paese. Be', credo proprio che ci sarà da divertirsi. Sarà meglio avvisare subito il mio cliente.'

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora