Una riunione dai risvolti inaspettati

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Lecco, venerdì 28 maggio 1643

Il qual Guido Aaroni si dirigeva in quel momento con una qual certa fierezza, accompagnata da un'orgogliosa indifferenza e da una svogliata diffidenza, verso la sontuosa dimora del Conte Attilio, con lo sguardo posato, più che sulla strada, sulla lettera che aveva ricevuto.
<Mah...> pensava <cosa mai si sarà inventato questa volta? Avrà sicuramente letto qualche libro di secondo o terz'ordine sui cavalieri templari, e gli sarà sovvenuto il capriccio di imitarli. Ah, i Soverchiatori... dei buontemponi, certo, ma veramente bizzarri.>
Guido Aaroni era, ad ogni modo, lecitamente curioso di conoscere le intenzioni del conte Attilio, che considerava un eccentrico, ma anche, relativamente, un genio.
Salteremo a piè pari i convenevoli che scambiò col maggiordomo quando che fu giunto all'entrata della magione, e passeremo subito in rassegna tutti gli invitati alla riunione, che Guido trovò già tutti ai propri posti attorno alla medesima tavola su cui, ormai più di un mese addietro, il conte Attilio aveva pranzato insieme a tanti simpatici gentiluomini e a Lucia, ma i miei lettori se ne ricorderanno, forse ancor meglio di me.
Ebbene, ai lati del Conte, seduto naturalmente a capo tavola, vi erano due individui dall'aspetto scontroso ma dal cipiglio allegro (tale caratteristica era molto comune nei Soverchiatori di alto livello): i loro augusti nomi erano Costanzo Tomei e Giancarlo Baltassi, entrambi fieri nell'apparenza e nello spirito, privi di ogni scrupolo, nobili e belligeranti. Le loro imprese, compiute vent'anni prima, al tempo della loro maggiore prestanza fisica ed intellettuale, erano allora studiate ed analizzate dagli aspiranti Soverchiatori. Generazioni di giovani rampolli li avevano seguiti come modelli ed esempi della più perfetta Soverchieria. I due erano da sempre stati rivali, e qualunque cosa uno dicesse, era immancabile che l'altro, che fosse d'accordo o meno, cercasse di avere l'ultima parola.
A fianco del robusto Baltassi era seduto il suo miglior discepolo, Benedetto, ottimo amico del conte Attilio, che ne aveva notato le doti fin dall'infanzia, e lo trattava quasi alla stregua di un figlio.
Di fronte a quest'ultimo vi era una signora, la cui bellezza traspariva ancora nonostante la veneranda età. Ella era stata un'efficace manipolatrice di menti, che venivano sedotte e stregate dalla sua suadente personalità. Riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva, fin da ragazza, quando ostacolò ed impedì il maggiorascato, riuscendo ad ottenere dal padre un testamento nel quale così distribuiva il lascito tra i suoi due figli maschi e le tre femmine: a lei la metà del patrimonio, l'altra metà da dividersi tra tutti e cinque. Il nome di costei era Vitalba. I suoi cognomi eran troppi per essere ricordati, visto l'immenso numero di mariti di cui era rimasta vedova.
Guido era l'unico invitato ancora atteso, benché fosse arrivato in perfetto orario. Porse le proprie scuse e, sedendosi a fianco di Benedetto (evidentemente la signora gli incuteva un tantino di soggezione), espresse il dubbio di aver mal compreso l'orario della riunione. Pronta fu la risposta del Baltassi: "Nessun fraintendimento. Il fatto è che la Soverchieria deve sempre giocare d'anticipo." "Prevedere e prevenire, ragionare prima di agire, combattere per poi morire." intervenne Costanzo annuendo.
Allora fu il conte Attilio a prendere parola: "Stimati colleghi, ora che siamo riuniti posso esporvi le mie preoccupazioni, che già ho accennato ai due galantuomini al mio fianco. Io ritengo che stiamo vivendo una crisi dell'attività soverchiatrice, e che presto, se non agiamo, la vedremo completamente estinta."
Gesti di stizza, imprecazioni, sguardi sdegnosi si incrociarono in quel frangente.
"Ne è una dimostrazione" continuò "il fatto che sempre più gente, sempre più giovani stiano prendendo a noia noi Soverchiatori, e che il nostro numero è in costante calo. Nel giro di venti, forse trent'anni di tutti noi, seduti a questo tavolo, resterà in vita forse solo Benedetto. Io credo che la sua potrebbe essere l'ultima generazione che ami i duelli, le dispute, la nobiltà cavalleresca, la cappa che cinge le nostre spalle." Il Conte fece una pausa per far sì che le sue parole venissero ben recepite. Questa volta tutti restarono in pensieroso silenzio, così che Attilio poté proseguire: "Ora, vorrei trovare una soluzione, ma per riuscirci dobbiamo prima trovare l'origine di questa crisi: sono certo che essa ci permetterà di riconsiderare le qualità della nostra arte, e di migliorarla ancora di più passando per questo momento di tribolazione." Seguì un breve silenzio, in cui Guido fece per parlare, ma non riuscì a dire nemmeno una parola che fu interrotto dal Tomei, che affermò: "Attilio ha ragione! Non c'è motivo di avere paura. Io so già a cosa è dovuta questa crisi: alla viltà di coloro che dovevano stare dalla nostra e poi si sono tirati indietro. Mi riferisco a vostro cugino, ma anche a mio figlio, al fratello di Baltassi, e... avete capito cosa intendo. È inutile badare a questi: sono già troppo vecchi. Noi dobbiamo puntare sui giovani, e tirarne fuori la grinta e il vigore che noi possedevamo." Fu applaudito da tutti i presenti, tranne che dal Baltassi. Aaroni cercò nuovamente di trarre a sé l'attenzione emettendo uno sbadiglio, ma Giancarlo fu più lesto, e, schiaritosi la voce incalzò il rivale: "Che giovani! Non c'è nulla da aspettarsi da coloro, sinché nelle scuole sarà inculcato su di essi un profondo odio verso di noi, nonché verso la nostra arte. C'è solo un modo per far rifiorire la Soverchieria, sebbene possa sembrarvi estremo: rendere questa nobile attività accessibile a coloro che non vanno a scuola, e che non son rovinati da clericali e parroci. Mi riferisco a quei villani che abbiamo da anni scelto come bersaglio di Soverchierie, e che dentro di sé covano un disperato rancore verso il genere umano. Avrebbero le potenzialità per divenire eccezionali Soverchiatori, anche perché facendo parte del volgo possono meglio azzannare i loro simili."
"Voi e le vostre idee sovversive! Non cambierete mai, vecchio mascalzone." gli borbottò dietro il Tomei, che tuttavia riconosceva la logica nel discorso del rivale. Intervenne a questo punto l'anziana Vitalba, che affondò l'ennesimo tentativo di Guido di farsi sentire: "Signori, lasciate che vi dica la mia opinione: le vostre sono buonissime idee, ma per realizzarle ci vuole la forza. La forza è ciò che serve, la forza è il potere. Per poter istruire alla Soverchieria nuovi adepti sarà necessario accattivarsi i potenti e i potentissimi. Noi non bastiamo: ci vuole qualcuno da sfruttare per i nostri scopi, qualcuno che stia in alto. Occorre trarre dalla nostra non i governi locali, ma quelli nazionali. Solo così potremo risorgere, e spadroneggiare nuovamente". Grida e applausi si susseguirono, benché ella non avesse di fatto detto nulla di concreto o di originale.
Il conte Attilio li interruppe: "Le vostre sono ottime parole, ma mi piacerebbe sentire il parere del signor Aaroni, che sta cercando di parlare ma viene continuamente interrotto da vossignorie." Gli sguardi di tutti si posarono sul placido viso di Guido, che finalmente ebbe modo di intervenire: "Carissimi, io non vorrei offendere la vostra sagacia e la vostra indiscussa competenza (che avete dimostrato soverchiando la mia voce mentre cercavo di parlare), però io avrei certi indizi su questa faccenda, che mi furono comunicati da mio padre, nel suo testamento. Ora, voi saprete che io non sono un Soverchiatore, e che non mi è mai interessato diventarlo, ma, stando alle mie informazioni, non c'è nulla di cui preoccuparsi per voi. La cappa e la spada potranno sparire, ma non la vostra arte, la Soverchieria. Quella esisterà sempre, e continuerà a crescere a livelli sempre più alti. La gente, come mi è stato insegnato, preferisce di gran lunga essere vessata dai torti piuttosto che trovarsi schiacciata dal peso della libertà. L'ultima generazione di Soverchiatori non giungerà mai, ma semplicemente i modi di praticare la vostra arte muteranno, e col tempo si evolveranno, mascherandosi sempre di più, cambiando persino il loro nome."
Questo intervento lasciò tutti un po'interdetti per qualche secondo, finché il conte Attilio, da buon anfitrione, riprese in mano la situazione: "La sapienza profetica del nostro buon Guido Aaroni non sarà mai messa in discussione: egli è tanto saggio, tanto sapiente quanto oscuro ed arcano. Ora, tuttavia, vorrei trovare qualche soluzione mirata ed efficace per l' odierna crisi. Ma mi sembra che lorsignori abbiano perso l'attenzione riguardo alla riunione..." Tomei e Baltassi si erano in effetti silenziosamente alzati ed affacciati alla finestra. Costanzo si giustificò: "Perdonatemi, ho sentito un rumore, come di gente che stia camminando qua di sotto, e mi sono precipitato a vedere qual cosa succeda. Allora il mio onorevole collega ha seguito il mio esempio." E Giancarlo: "Vero è ciò che ha detto, eccetto per il fatto che io per primo ho sentito il rumore e mi sono diretto alla finestra". I due avevano già ripreso a battibeccare, quando entrò nella stanza Gioacchino, il fedele e stoico maggiordomo.
Questi annunciò l'arrivo del padre Teopoldo.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora