Come Renzo si rivelò fonte d'ispirazione per un promettente scrittore

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Renzo era sbalordito. La storia che gli era stata raccontata sembrava per davvero assurda, ma sussisteva il fatto che alla fine il Custode avesse accennato ad un signore in effetti esistente e riscontrabile nella memoria di Renzo.
Quest'ultimo non sapeva bene cosa rispondere, ma fortunatamente Gervaso lo cavò di impiccio.
Si era infatti avvicinato ad un uomo dal volto smagrito e i capelli grigi intento a fissare un foglio bianco, mentre si solleticava il mento con una penna non ancora intinta di inchiostro.
"In cosa vi arrovellate, quel signore?" domandò Gervaso con bambinesca curiosità.
L'uomo lo fissò per un istante, riponendo la penna sul tavolo, poi tornò a guardare il foglio per qualche secondo con aria sconsolata e infine guardò nuovamente negli occhi il suo interlocutore. Si decise a rispondere, soprattutto, oserei dire, per sfogarsi: "Ahimè, questa è la tragedia della mia vita da scrittore. Vorrei stendere una bella storia sulla nostra epoca, qualcosa che lasci il segno e faccia capire quanta crudeltà, cattiveria ed ignoranza sia presente in questo mondo, senza però cadere nella banalità o nel moralismo. Il fatto è che proprio non so che genere di storia possa piacere ad un pubblico così eterogeneo come il nostro."
Alcuni dei presenti si misero a ridere. Un tale che indossava un farsetto verde lucertola disse indicando lo scrittore, che si trovava alle sue spalle: "Signore, le consiglio di lasciar perdere i discorsi di Saverio. È, se non mi sbaglio a far di conto, il settimo libro che prova a scrivere, e vedrà che alla fine lo lascerà perdere come ha fatto con tutti gli altri, senza aver cavato un ragno dal buco." In molti annuirono.
Saverio Sagitta (così si chiamava questo scrittore, almeno secondo i registri della setta che abbiamo sotto mano) non fece caso a quanto detto, e tornò a concentrarsi sul foglio.
Renzo, che aveva ascoltato con attenzione, si portò accanto a lui, dicendo: "Signore, se ha animo tale da descrivere la sozzura di questo mondo, non ha bisogno d'andare a cercar lontano. Se a tutti sta bene, vorrei raccontarvi la mia storia, così che lei possa avere qualche elemento su cui basarsi, e allo stesso tempo mi conosciate meglio." Tutti approvarono, ed in particolare Saverio, che, seppur riluttante a farsi aiutare per la trama, era decisamente curioso.
"Vi avverto, però" continuò il buon montanaro "non è una storia per cuori deboli. Se non soffrite di sentir parlare di ingiustizie e Soverchierie, è meglio che non ascoltiate." Nessuno si mosse. Renzo era orgoglioso di aver catturato l'attenzione di quegli strani cittadini riminesi. Questo suo carattere istrionico, che tanto lo aveva cacciato nei peggiori guai in passato, non lo aveva mai abbandonato. Così come la sua espansiva loquacità.
Si mise a raccontare per filo e per segno quanto gli era capitato negli ultimi anni, a cominciare dal fatidico giorno in cui don Abbondio camminava bel bello col suo breviario in una tranquilla stradina di campagna. Renzo si ritrovò smarrito quando diede le indicazioni storiche degli avvenimenti. Quanto tempo era passato...e i fatti di allora continuavano a tormentarlo. È davvero possibile che ciò che accade in una giornata possa condizionare un'intera esistenza? Renzo aveva sperimentato che così è fatta la vita.
Quando arrivò a parlare del fallimento del matrimonio a sorpresa, in tanti sbottarono mormorando parole di biasimo verso Lucia, che in effetti, bisogna dirlo, in quell'occasione si comportò davvero indegnamente, qualunque cosa ne dicano i suoi fedeli sostenitori, grandi avvocati di cause perse e persone indifendibili.
Ma tralasciando le modeste opinioni di autori troppi poveri di spirito e ristretti mentalmente da apprezzare un personaggio così drammatico, espressivo e assolutamente individualizzato come Lucia Mondella, torniamo a discorrere di faccende importanti.
Dopo che Renzo ebbe coraggiosamente redarguito coloro che avevano parlato, continuò a raccontare la sua storia con sconcertante animo stoico e crudo realismo. In numerosi furono commossi quando seppero della monaca di Monza, del rapimento di Lucia e dei danni causati dalla peste bubbonica. Ancor di più quando seppero della morte di don Abbondio, che la setta aveva preso in gran simpatia. Infatti erano in molti a riconoscersi personalmente in tale codardo: nessuno di loro disse che certamente si sarebbe comportato da persona franca e coraggiosa se fosse stato al suo posto, lì, davanti ai bravi di don Rodrigo.
Non appena Renzo ebbe terminato la storia, fu sommerso di parole di incoraggiamento, strette di mano ed applausi.
Solo Saverio rimase seduto al proprio posto a riflettere. L'uomo dal farsetto di lucertola, di nome Tommaso Tornante, colse l'occasione per apostrofarlo: "Suvvia, Saverio, è inutile scoraggiarsi solo perché il primo venuto se ne esce con una storia che batte tutte quelle voi avete cercato di inventare. Cogliete l'occasione e trasformatelo in un ottimo romanzo. Dopotutto è da salde basi che nascono le torri."
Saverio inarcò le sopracciglia rassegnato. Afferrò nuovamente la penna non intinta di inchiostro e cominciò a parlare giocherellandoci con le mani: "È una storia meravigliosa, piena di crudo realismo. Ma ahimè, la gente vuole un lieto fine, e, non per offenderti, la tua non ce l'ha. È una vera e propria sequenza di sciagure e iella. Molti lettori lo troverebbero di malaugurio, fissati come sono con la superstizione, di questi tempi. Ma al diavolo! Vuol sapere che le dico? Lei mi ha dato una grossa mano. Scriverò una storia di questo tipo, ma con un finale da cui trasparisca ciò che mai deve mancare: la speranza."
"È giusto..." sospirò Renzo. "Le chiedo però un favore: non volendo farmi riconoscere, vorrei che sostituiste il mio nome con un altro."
"Ma è ovvio, ma è ovvio." sbottò lo scrittore. "Inventare nomi per i personaggi è la parte di questo mestiere che mi diverte di più. Penso che nel libro vi chiamerete...che ne dite di Fermo?"
L'abate appoggiò il libro sul tavolo. "Ma non va bene! Il mio nome è troppo da canaglia, troppo da mela marcia per un protagonista così eroico."
Saverio portò la penna alla bocca e la morse con rabbia. "Diamine! Ho bisogno di altre idee. Voi, signor Tonio, come vorreste essere chiamati dalla vostra Lucia e da tutti gli altri?"
"Renzo." fu la risposta. "Diminutivo di Lorenzo."
L'autore lo ripeté tra sé e sé più volte, per capire se gli piaceva il suono.
"E sia." Concluse. "Ma badate bene: si farà che il finale sia allegro, e tuttavia la narrazione non mancherà di cruda storicità e macabre immagini. Inizierei proprio chiarendo le mie intenzioni."
Scrisse velocemente qualche riga, e lesse ad alta voce:
"In ista mia humile relatione si vedranno come in angusto teatro Traggedie d'horrori luttouose, con brevi intermezzi di Sancte Opere de li angelici maestri, senza de le quali non si possa dire che una storia, se pur se imbalsamata da li inchiostri, sia veracemente et integramente originata da le divine mani di nostro Signore."
"Bravo! Paragonatevi a Dio Creatore, è così che avrete successo." lo sbeffeggiò il solito Tornante.
"Voi non avete capito una lettera di quanto ho scritto. E come potreste, d'altronde?" rispose Saverio con un risolino stizzito.
Altre simili vicende di personaggi della setta sarebbero degne di essere raccontate, ma la nostra storia riceverebbe ulteriori indesiderate interruzioni, e ne ha già avute abbastanza. Pur tuttavia riteniamo necessario dedicare un ultimo capitolo ad una descrizione degli eccentrici individui che componevano la Setta di Aaron.

Delle Soverchierie e dei loro ArteficiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora