La decisione

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Dopo che si fu calmato, Renzo rilesse la lettera più attentamente. Tale bizzarra lettera è giunta fino a noi e ne riportiamo fedelmente il contenuto:

"Egregio signore (non la chiamiamo così per formalità, ma perché lei ha veramente dimostrato di meritarsi tale titolo (1)):
Le chiediamo di prestare attenzione a quanto le diremo e di avere fiducia in noi, che altro non siamo se non egregi bricconi come lei (non per offenderla).
Non abbiamo potuto fare a meno di notare la sua sana avversione alle Soverchierie, o più in generale al sistema stesso su cui è basata la società attuale. Sappia che lei non è l'unico a pensarla così: noi condividiamo completamente la sua idiosincrasia, e lavoriamo da anni per smascherare complotti, truffe e angherie a danno di noi onesti cittadini. Abbiamo scoperto cose spaventose, che qui non riporto perché, per quanto intuitive, risulterebbero troppo sovversive per chi non è preparato ad accettarle; spesso infatti la nostra mente si rifiuta di accettare meccanismi troppo semplici, perché allenata fin dall'infanzia a issare barriere contro di essi, che però spesso corrispondono alla verità. Nondimeno, signore, posso farle alcuni esempi sulla sua Lombardia. Lei sapeva che la principale funzione del Senato di Milano e del Consiglio segreto è prevalentemente quella di imporre tributi e di distribuire privilegi? Sapeva che le le leggi sono state create appunto per permettere di violarle in cambio di sostegno politico, che le guerre servono ad arricchire l'industria bellica e ad impoverire la popolazione al fine di evitare che la gente stia troppo a pensare e che la cosa più importante per lo Stato resta mantenere il potere all'interno della ristretta cerchia aristocratica? Le Soverchierie hanno appunto questo scopo: ribadire la superiorità della nobiltà; e questa causa: le sovrabbondanti ed inefficaci leggi che ci regolano.
Se le è cresciuta un po'di curiosità, saremo pronti a fornirle spiegazioni molto più dettagliate. In tal caso, la invitiamo a presentarsi il venerdì che viene nello stesso luogo in cui le è stata recapitata questa lettera. Sappiamo che non vede l'ora di fuggire dal monastero in cui si trova rinchiuso, e noi le possiamo fornire una via d'uscita comoda e sicura.
Troverà uno dei nostri uomini più fidati ad aspettarla. Se la farà sentire più tranquillo si può anche presentare armato: sappiamo che è sospettoso in quanto hanno cercato di ucciderla, e lo comprendiamo. Anche noi rischiamo spesso la vita, anche per cause futili.
Le porgo i miei più sinceri saluti,
Il Custode

P.S.
Se vuole può portare con lei anche il signor Gervaso.

Il nostro Renzo, come c'è da aspettarsi, non sapeva proprio cosa pensare. Eppure sentiva di non essere sorpreso come avrebbe dovuto. Questi signori alquanto eccentrici dicevano di essere nemici dei Soverchiatori, e sembrava volessero aiutarlo in qualche modo. <È una trappola> fu ciò che per primo gli venne in mente <Dev'essere una trappola, altrimenti non saprei come spiegarmi una lettera simile. Ma come fanno a credere che potrei farmi raggirare a questo modo? E quel 'si può anche presentare armato?' Essere armati serve a poco se si è colpiti per di dietro, quando meno ce lo si aspetta. E anche nel caso in cui questa lettera sia autenticamente un'offerta di aiuto, un richiamo a combattere nuovamente contro i miei nemici, a che pro presentarsi? Ormai io non faccio più quello sporco mestiere, e non voglio avere a che fare con nessun'altra disputa, né con persone facinorose quanto lo ero io>. In tutto questo non riusciva a spiegarsi perché le audaci affermazioni scritte su quella lettera non lo sorprendessero; ma forse, erano quasi tutte cose che aveva sempre inconsciamente sospettato.
A un tratto Renzo sentì che qualcuno bussava alla sua porta, e si precipitò ad aprire.
Davanti a sé vide un frate che poteva avere una cinquantina d'anni, e che comunicò a Renzo che l'abate, capo del monastero, aveva manifestato il desiderio di incontrarlo. Ora, se ricordate, l'abate era quel tal amico di padre Teopoldo, il quale ne aveva parlato come di una persona di spirito e galantuomo, assicurando inoltre a Renzo che sarebbero andati d'accordo.
Per il momento, tuttavia, vuoi a causa degli impegni dell'abate, vuoi della solita burocrazia, Renzo non aveva ancora avuto occasione di fare la sua conoscenza. Perciò accolse l'invito con una certa curiosità.
In breve tempo, attraversando i labirintici e protettivi meandri del monastero, fu condotto di fronte ad una piccola porta fatta di giunchi intrecciati, che, notò, egli avrebbe potuto benissimo buttare giù con una leggera spallata. Ma ciò che catturò la sua attenzione fu che sopra di essa vi era scritto a caratteri piuttosto rozzi e difficilmente leggibili: "Sudicia catapecchia dell'indegno abate Marín". Il frate accompagnatore colse lo sguardo interrogativo di Renzo, e, prevenendo ogni domanda, disse, com'era probabilmente abituato a fare da anni, ogni qualvolta ivi giungeva un visitatore: "Non si sorprenda: l'abate è un personaggio veramente particolare. È egli in persona l'autore della scritta, e, benché in tanti gli abbiamo detto e ripetuto di levarla, non ha voluto sentire ragioni. Non si spaventi: è una gran brava persona, forse un po'autoritaria, ma come si conviene ad una guida: pare proprio un personaggio da libro, di quelli che trattano le vicende dei santi, come il Menologio o la Leggenda Aura".
La curiosità di Renzo crebbe non poco, ed egli bussò alla porta con fare rispettoso ma deciso.
"Che aspettate lì fuori? Entrate." fu la pronta risposta proveniente dall'interno. Renzo non se lo fece ripetere, così aprì lentamente la porta, in quanto davvero temeva di romperla con un troppo brusco movimento, ed entrò.
Renzo si trovava al cospetto di un grosso omone, che poteva benissimo essere un antenato del Grande Gigante Gentile, personaggio che non saltò subito alla mente di Renzo solo perché mancavano più di trecento anni alla pubblicazione del libro omonimo.
"Buona sera, signore. Vi darei il benvenuto, se solo non foste qui già da una settimana. Vedete, questa mia mancanza è già sufficiente a giustificare la scritta sulla mia porta, di cui vado molto orgoglioso... Ecco, vede quanto sono bestia? Mi dico orgoglioso dell'umiltà, come fosse un trofeo di caccia... ma la mia confessione sarà a tempo debito. Intanto, sono onorato di fare la vostra conoscenza, signore. Mi presento: sono padre Fermo Marini, ma voi mi potete chiamare col mio soprannome Marín, che mi pare più eufonico".
Mentre l'abate parlava, a Renzo parve di riconoscere qualcosa di familiare nella sua postura e nei suoi gesti, come se lo avesse già incontrato, o solo veduto, da qualche parte. Fu però ancor più colpito da ciò che il frate diceva.
"Signor abate, se posso esprimere il mio parere, che nulla vale in confronto al suo, lei non è affatto indegno della sua posizione, piuttosto mi permetto di dire che mai ho incontrato un curato tanto devoto come quello che mi sta davanti".
"Basta con questi inutili e lusinghieri convenevoli. Piuttosto, come vi trovate qui al monastero? Il cibo vi piace? Deve sapere che io, da quel miserabile fraticello che sono, non amo il digiuno, e qui, come dico sempre, voglio che si mangi bene e che si beva meglio". L'abate terminò la frase tirando fuori da una credenza una bottiglia di vino mezza piena e due bicchieri.
"Signor abate, illustrissimo, non si disturbi per me" balbettò Renzo, ma era troppo tardi.
L'illustrissimo abate aveva già mesciuto la bevanda senza dire compermesso, e provvedeva ad annacquare la propria porzione. "Io non lo reggo più schietto. Eh, la vecchiaia..." E assunse un'aria assorta. "Credo non ci sia nulla di peggio. Ma, d'altronde, quando giungerà la mia ora sarò libero, e banchetterò ancor più voracemente che in gioventù, sempre che il buon Dio mi preservi dal fuoco dell'inferno".
"Ma cosa mi viene a dire, signor abate!" replicò Renzo sorridendo.
L'abate si concesse una grassa risata, nel mentre Renzo prese a sorseggiare il vino.
"Vi piace? Lo faccio importare dal Granducato di Toscana. Un paese meraviglioso... voi ci siete mai stato?"
"Per la verità, di paesi esteri, rispetto al Ducato di Milano, intendo, in passato ho visitato solo la Serenissima".
"È anch'essa un bel paese. Però è un peccato che non abbiate quasi mai viaggiato. Io credo che, da giovani, viaggiare sia meraviglioso: ci permette di ampliare i nostri orizzonti".
"Lei è straordinario. Da un monaco non mi sarei mai aspettato una simile frase" fece Renzo con la più sincera simpatia.
"Davvero? Io non lo trovo così straordinario." rispose il frate "Dopotutto, la vita in un monastero è come una grande avventura, che non permette solo di ampliare i nostri orizzonti, ma di estenderli verso l'infinito. Questo posto è un grande vascello, e i monaci ne formano l'equipaggio. Tutti i membri di questo equipaggio possiedono sogni, ideali e interessi diversi, ma condividono un'unica vera fede. È come il senso di appartenenza ad un circolo, ma portato all'acme. Il mio augurio per voi è dunque di percorrere nuove strade e superare nuove difficoltà insieme a persone che condividano i vostri più profondi sentimenti, in altre parole insieme a degli amici; tali considero infatti tutti i monaci che vivono qui".
Dopo che Renzo ebbe lodato il discorso del padre i due si congedarono affettuosamente, da buoni amici.
"Ero certo che sareste andati d'accordo. L'abate ha un grande ascendente su chiunque." Fu ciò che Renzo si sentì dire dal frate che lo aveva accompagnato.
Il giorno seguente ebbe l'impellente desiderio di mostrare la lettera a Gervaso. Trovare costui fu piuttosto facile, poiché in realtà fu Gervaso a trovare Renzo.
Renzo gli lesse tutto, saltando o adattando le parti più complicate, e infine chiese la sua opinione. Gervaso ci pensò su per un paio di minuti, e infine disse: "A me paiono persone oneste. E poi, hanno scritto che potrò venire anch'io. Non temere, fratellone, ti proteggerò io! Ci presenteremo entrambi armati, e non ci sarà bravaccio che tenga". E cominciò a saltellare per mostrare la sua volontà di agire. Renzo apprezzava l'ottimismo di Gervaso, e riponeva una grande fiducia nelle sue impressioni, come se costui possedesse un sesto senso. <E poi, se fossero davvero persone che mi vogliono aiutare, avrei subito l'occasione di seguire i consigli di padre Marín.> La chiacchierata con quest'ultimo gli aveva fatto riaffiorare parte dell'antico entusiasmo, e Renzo si sentiva ora molto più sicuro di sé e delle proprie capacità. <Mi dispiace, ma clausura e orazioni non fanno parte della mia idea di avventura; se invece poi fossero dei furfanti, troveranno pane pei loro denti. È deciso: non mi tirerò indietro>.



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Note:
(1) La parola 'egregio' deriva dal latino egregius, che a sua volta proviene dall'espressione ex grege, 'fuori dal gregge', e indicava originariamente qualcuno che si distingueva dalla massa per doti particolari.

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