6. Il concerto

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«Mi sono preso la serata libera, il prossimo venerdì», buttò lì Edward, mentre lui e Gerard se ne stavano appollaiati a gambe incrociate sulla brandina della stanzetta, con in mano i caffè da asporto, alle due e venti del mattino.

«Davvero? Un nuovo e tedioso evento mondano cui non puoi mancare?»

«L'evento mondano ci sarebbe, ma per una volta non è organizzato da mia madre. Però... non so. È tutto da vedere.» Edward appoggiò il bicchiere di plastica sullo sgabello, stringendosi le caviglie con le mani. «Lo sapevi che i Muse suonano a Oakland, quella sera?»

Gerard lo guardò con stupore. «Conosci i Muse?»

«Eddài!» si atteggiò a finto offeso. «Mica vivo dentro una caverna!» Bastò tuttavia uno sguardo eloquente del suo amico per costringerlo ad ammettere la verità: «E va bene, a malapena sapevo che esistessero, fino a poco tempo fa».

«Oh, Èd, sei un caso disperato!»

«Sarà anche così, ma sta di fatto che lui invece sembra andarne pazzo. Quando sono passato a casa sua l'ultima volta, i cd di questi tizi erano sparsi per tutta la stanza.»

Non poteva fare a meno di provare una grande amarezza, ripensando a quel giorno da cui erano trascorse ormai due settimane. Per come si erano lasciati, per il fatto che Michael sembrasse davvero non voler avere più niente a che fare con lui, per quelle parole che ancora come un trapano martellavano le sue orecchie: "Cosa può esserci, di più grande dell'amicizia, per cui immolare il proprio cuore?".

Gerard lo scrutò con quello sguardo ammiccante che più di una volta era stato in grado di mettere a nudo le persone, senza neanche far provar loro troppo imbarazzo. «Vorrei che ti sentissi: su tre parole che dici, quando sei con noi, una riguarda i pazienti e le restanti due Michael. Di' la verità: provi qualcosa per lui?»

Edward lo guardò molto serio. «Certo che provo qualcosa. Ammetterai che non è una persona che lascia indifferenti.»

«È un ragazzo molto bello. Però io credo... non arrabbiarti se te lo dico, ma credo che tu ne sia anche un po' incuriosito. Per quello che lui è, per quello che fa.»

«Questo non c'entra. Già da quando ci ho parlato la prima volta, nonostante tutte le bugie su chi fosse e i particolari che stonavano... quello che lui mi ha detto, il suo modo di fare e il suo modo di sorridere... mi sono rimasti dentro. E ho pensato che mi sarebbe piaciuto se fossimo diventati amici, ma poi mi aveva detto di stare per partire per l'Inghilterra, così...» Strinse le spalle, lasciando il discorso in sospeso. Tanto il resto già lo sapeva.

«E ti piace, anche? Intendo dire, ne sei attratto fisicamente?»

«Bah! State sempre a guardare quello soltanto, voi.»

«Già, è vero, dimenticavo, tu sei un asceta: non nutri simili gretti interessi.»

«Smettila di sfottere, per favore. Dovrei forse dirti che lo trovo brutto?»

«Il giudizio estetico non è mai collegato con l'attrazione erotica, lo sai.»

«Vorrei solo passare con lui un po' di tempo, solo questo. Solo... parlarci, sapere qualcosa in più sulla sua vita. Su quelle cose che legge, per esempio. Ci sono tanti libri, in camera sua, e a volte se ne esce con delle citazioni che io non capisco. Vorrei soltanto, a dirti la verità, vorrei soltanto che non si prostituisse.»

«Perché lo trovi promiscuo e peccaminoso?» lo provocò con un accenno di biasimo.

«Perché è pericoloso!» L'aveva gridato, quasi, con veemenza, superando di molto il tono pacato dell'altro. «L'hai visto anche tu quello che gli è successo! E non riesco a capire perché una persona così intelligente debba ridursi a fare quella vita, precludendosi qualsiasi altra possibilità di...»

Il dottoreWhere stories live. Discover now