35. Sistole e diastole

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Edward non si fidava a lasciarlo a casa da solo: aveva paura che svenisse senza che nessuno potesse soccorrerlo, e d'altra parte voleva essere lui a prendersi cura di Michael e a pensare a tutto. Ma avrebbe dovuto essere onnipotente e onnipresente come Dio, per riuscire a farlo.

«Devi decidere», gli disse suo padre a quel punto, con aria sottilmente sardonica, «se vuoi fare il medico o l'infermiere.»

«Il medico, ovviamente. Ma non posso pensare di dover trascorrere tutte quelle ore di fila in ospedale, lontano da lui, mentre sta ancora male. Potrebbe avere bisogno di qualsiasi cosa e non ho la minima intenzione di lasciarlo in compagnia di qualche infermiera, più o meno estranea che sia. Lui... ha bisogno di me! E io di lui!»

«Va bene», accondiscese di nuovo il padre. «Tutto quello che posso fare è lasciarti un paio di giorni liberi e... se ti va bene, darti un orario part-time a tempo determinato. Ma tu ce la farai, a raggiungere il numero di ore necessario e a superare l'esame del quarto anno? Dopo tutto questo tempo che hai perso, Edward...»

«Farò delle ore di straordinario quando mi sarà possibile. Se non ce la farò, vorrà dire che ripeterò l'anno. Non mi importa. Di fronte a questo, non mi importa.»

Colin annuì, anche se un po' contrariato. «Fa' come vuoi, non posso certo impedirtelo. Lui è il tuo amore, no?»

* * *

Michael era stato così felice di poter rimettere piede nella propria casa! Gli sembrava di essere stato lontano un secolo, e potervi tornare pareva una cosa grossa, un evento da festeggiare. D'altronde era un bene che vi fosse legato, perché non poteva uscire né frequentare posti affollati, specie in quei primi giorni, per evitare il più possibile di venire a contatto anche coi germi più innocui. Lo stesso Edward, prima che lui tornasse, aveva provveduto a fare mattanza di qualsiasi microbo e igienizzato ogni superficie, compresa la sua travagliatissima libreria piena di polvere da biblioteca.

Non poteva dire di stare bene, di essere in forze e in salute, ma il pensiero che per ancora due settimane gli sarebbero stati risparmiati aghi e veleni lo rincuorava. Non voleva pensare al dopo. Aveva deciso di prendere tutto con più calma e pazienza possibile, vivendo momento per momento e concentrandosi sui piccoli piaceri: su una posizione comoda, sul fresco del cuscino, sul profumo della cannella che per lui equivaleva a casa, ed era uno dei pochi che non gli davano il voltastomaco.

Si era anche azzardato a chiedere a Edward se fosse stato possibile mettere il naso fuori, una volta ogni tanto: non per le strade, certo, ma fuori città, in qualche posto dove ci fossero alberi e prati. Erano i primi di marzo, ormai; anche se non era ancora arrivata la primavera, l'inverno se ne stava andando. L'aveva visto un po' titubante, ma ugualmente si era sentito rispondere: «La prossima settimana, magari, quando ti sarai ripreso un po' meglio. Voglio solo essere sicuro che non ti prenda un colpo di freddo».

Forse si trattava giusto del desiderio di cavarsi una soddisfazione, di fare qualcosa di divertente prima di sottoporsi al secondo ciclo e ad altre due nuove settimane di tortura. Senza camera sterile, certo, ma sempre di tortura si trattava.

Riprese contatto con tutti gli oggetti che gli erano familiari, anche i più banali, come dopo essere tornato da una lunga vacanza – dall'inferno. Il cibo gli sembrava ancora poco appetibile e detestava averci a che fare, ma aveva smesso di vomitare, ormai, e la nausea compariva solo la mattina quando era ancora debole, o la sera se era troppo stanco. Non che corresse il rischio di esserlo, con la vita che conduceva: anche quando tentava di portare a termine una banale faccenda, Edward gli ripeteva di non abusare delle proprie energie.

«Mi dispiace che tu abbia ridotto il tuo orario per colpa mia», gli fece sapere una sera mentre rimestava il cibo nel piatto senza riuscire a mandarlo giù, dopo aver notato che le ore che trascorreva al lavoro erano magicamente diventate cinque anziché dodici. «Adesso sto bene. Non serve che ti prendi cura di me per tutto il tempo.»

Il dottoreWhere stories live. Discover now