39. Il giuramento di Ippocrate

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La fattezza e il colore dei capelli dovevano essere scritti in un gene recessivo del padre, perché anche quel bambino li aveva identici a quelli di Michael: stessi riccioli e stesso color cannella. Poteva vederli bene, al chiarore del sole parzialmente coperto dalle nuvole, in quel lattiginoso pomeriggio di fine novembre.

Rimanendo seduto al posto di guida scorgeva tutta la sua figuretta dinoccolata trotterellare lungo il marciapiede con gli auricolari nelle orecchie, il giubbotto imbottito e i pantaloni larghi da hip-hop. Poteva avere dodici o tredici anni. Edward sapeva che quello era l'unico momento adatto, adesso che la strada di quel tranquillo quartiere nei pressi dello Waterfront Park era quasi deserta, a parte qualche insignificante auto che passava ogni tanto.

D'altronde era la terza volta che si fermava in quella zona e la prima che lo vedeva uscire da solo, perché di certo la madre non poteva sospettare nulla del pericolo. Neppure il padre, probabilmente, visto il tempo che era trascorso, sospettava che quel folle maniaco gli si trovasse ancora alle calcagna.

Invece c'era, e stava anche per agire, con totale premeditazione, dopo essersi appostato davanti alla clinica dove Wesley lavorava, solo per seguirlo e scoprire dove abitasse, solo per spiare i loro movimenti e capire se c'era possibilità di cogliere il bambino da solo.

Quello che stava per fare non andava soltanto contro l'etica, o contro il buon senso, o contro la moralità. Era un atto criminoso contro l'integrità umana, era la volontà di ledere con scopi precisi, benché a suo parere giustificabili, era il rischio di compromettere seriamente la salute di qualcuno, mentale o fisica che fosse, se fossero sorte complicazioni nel piano che aveva stabilito. Bastava un'allergia, un precedente rilevante di una possibile storia clinica, e puff! Ma, per quanto era di sua competenza, si riteneva in grado di lasciar filare tutto liscio.

Certo, c'erano i particolari non ortodossi. C'era la tossicità dell'etere etilico, ma sarebbero stati giusto pochi secondi, prima di farlo cadere nel sonno. Sperava che funzionasse. Sapeva che tra i fatti e le aspettative c'era un abisso di differenza, e aveva paura, sì. Ma sperava ugualmente che funzionasse, perché non c'era altra scelta. Perché avrebbe buttato a monte tutta la sua vita, ma ne valeva la pena. Almeno per sapere.

Avanzò molto lentamente con l'auto, nella medesima direzione in cui si stava dirigendo il ragazzino, per poi fermarsi poco più avanti. Era il momento, lo sapeva. Doveva solo agire con freddezza, senza tanti sensi di colpa. Quel bambino, in fondo, aveva avuto tutto dalla vita. Aveva dei genitori premurosi, accessori all'ultima moda, abitava in una casa bellissima. E a colpo d'occhio sembrava anche in ottima salute. Sarebbe quindi stato un crimine così grave sottrarre giusto qualche ora della sua vita, per evitare di condannarne a morte un'altra?

Non si poteva parlarci. Non avrebbe capito. Anche se avesse capito, era un minorenne e tutte le decisioni in merito alla sua esistenza spettavano ai genitori. Lui non aveva voce in capitolo. Si poteva soltanto agire, con un fazzoletto di stoffa e una bottiglietta di etere. Strano ma vero, che l'ospedale fosse ancora fornito di simili farmaci da anestesia storica, probabilmente ancora impiegati in combinazione con differenti sostanze per usi alternativi.

Ne cosparse il fazzoletto, tenendolo ripiegato sulla mano guantata, cercando lui stesso di tenervi il più lontano possibile le vie respiratorie. Poteva avere solo una pallida idea della sensazione orribile che dovesse provocare il suo contatto sulla pelle. Bruciore? Senso di freddo? Sperava solo che durasse poco. Tuttavia sapeva che, secoli addietro, era stato utilizzato in sostituzione dell'anestesia totale durante gli interventi chirurgici, e prima ancora veniva venduto alla stregua di un comune alcolico, edulcorato, per uso orale. Di certo un'inalazione sporadica non avrebbe ucciso nessuno.

Richiuse bene la boccetta, strinse in mano il fazzoletto, attraversò la strada vuota e iniziò a camminare lungo lo stesso marciapiede del ragazzino che avanzava spensierato, con la musica a palla nelle orecchie, senza accorgersi della sua presenza.

Il dottoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora