23. La lunga notte di Edward

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Max si trovava in piedi coi muscoli in tensione, pallido come un cadavere, accanto al letto sul quale era distesa la sorella su un fianco, in stato semiaddormentato: una ragazzina minuta ed esile, rossa come lui, con i capelli a caschetto con la frangetta e una spruzzata di lentiggini sugli zigomi arrossati.

«Si è sentita male all'improvviso», spiegò a Edward con voce tremante, le braccia conserte e l'unghia del pollice tra i denti. «Ho fatto appena in tempo a tornare, dopo che mi ha telefonato per dirmi che si sentiva strana. È tutta colpa mia... non sarei mai dovuto uscire con quella scema. L'avevo vista, Mel, che non era quella di sempre... che c'era qualcosa che non andava!»

«Sta' calmo, per favore», gli disse lui con gentilezza. «Adesso facciamo una visita e mi spiegate tutto con precisione, okay? Ehi, Mel...» si rivolse quindi alla ragazzina, sorridendole dolcemente. «Che cosa mi combini? È vero che non ci vediamo da molto, ma non c'era bisogno di arrivare a tanto!»

«Veramente preferivo l'altro dottore...» rimase al gioco lei, anche se con voce sfiatata, accennandogli un risolino. «Quello biondo, tanto carino.»

«Il dottor Johnson non è in servizio, questa sera: temo che dovrai accontentarti di me. Non ti vado bene?»

«Mh... anche tu sei carino, ma preferivo lui.»

«Suvvia, Mel, il dottor Sullivan è bravo. Pensa che è anche il figlio del primario!» le disse il fratello per rassicurarla, come se quel dato fosse rilevante. Poi tornò a parlare con lui: «Ha cominciato a sentirsi male intorno alle dieci, almeno da quanto lei dice, ma è stata strana per tutto il giorno. Aveva mal di pancia, nausea e un po' di febbre: pensavo si trattasse dei sintomi dovuti a una leggera influenza, così non mi sono preoccupato. Però questa sera l'ho trovata affannata, tachicardica e con la pressione alle stelle, così l'ho portata in ospedale. Quell'imbecille di Hunter voleva rimandarmela a casa, dopo essersi limitato a prescriverle un betabloccante, ma poi è caduta travolta dalle convulsioni mentre stavamo per uscire. Ti giuro, Edward, mi sembrava che non finissero mai!».

«Capisco. Le è stata misurata da poco la temperatura?»

«Era a trentasette, meno di mezz'ora fa: troppo bassa per esserne stata la causa.»

Edward annuì e tornò a parlare di nuovo con la ragazza, che li ascoltava intontita, lo sguardo un po' vitreo. «Ascoltami, Melanie, la tua pressione è di molto fuori dalla norma, specie per la tua età e per un fisico minuto come il tuo. Quindi dobbiamo capire da cosa sia provocata. Mi permetti di visitarti?»

La ragazza annuì e lui la sottopose alla breve visita di routine: auscultò battito cardiaco e respirazione, controllò la gola, i riflessi neurologici. E misurò di nuovo la febbre, invariata rispetto a prima. Max intanto era già partito con un'anamnesi accurata di tutta la vita di sua sorella: nessun precedente ricovero, nessuna patologia in età infantile; varicella e poche altre malattie dei bambini in età prepuberale. Nessuna insufficienza renale, nessuna disfunzione endocrina come possibili cause dell'ipertensione. Sembrava che prima di quel momento avesse goduto di ottima salute.

«Hai fatto uso di farmaci, negli ultimi tempi?» le domandò Edward.

«No, Èd, porca miseria! Te l'avrei detto, se avesse assunto qualche farmaco! Credi che altrimenti non avrei pensato subito a un'insufficienza renale per intossicazione?»

«Mel, tu non hai preso niente di tua iniziativa, non è vero?» tornò a chiedere a lei, che scosse faticosamente la testa. Notò che le mani le tremavano.

«Come puoi pensare che abbia potuto assumere qualcosa da sola?» sbottò Max. «Mi premunisco di controllare personalmente persino se prende un'aspirina! Sono un medico anch'io, ti ricordi? Inoltre è digiuna da questa mattina: non ha più ingerito niente dopo colazione perché aveva la nausea: neanche un antiacido.»

Il dottoreWhere stories live. Discover now