34. LLA

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«Leucemia Linfoblastica Acuta», spiegò il dottor Sullivan coi referti delle analisi sotto gli occhi – quelli originali. «In questo caso, a fenotipo pre-B precoce, che è quella detta di tipo "common", e di maggiore incidenza negli adulti. Con una percentuale del settantasei percento dei casi, per la precisione.»

Si trovavano nel suo studio di primo pomeriggio, e Edward sedeva accanto a Michael davanti alla scrivania di suo padre, come un qualsiasi congiunto venuto ad accompagnare una persona cara, anche se lui stesso indossava il camice e a quell'ora avrebbe dovuto trovarsi in servizio.

Colin aveva un'espressione tirata. Edward era stato a parlargli privatamente, poche ore prima: Michael non era stato presente, ma poteva ben immaginare anche le singole battute, tanto che, quando li aveva ricevuti, le prime parole che gli aveva rivolto erano state: «D'ora in avanti sarò io il tuo medico curante, e farò in modo che mio figlio venga assegnato fisso in Ematologia».

Non gli aveva detto "mi dispiace" o sfoderato inutili chiacchiere paternalistiche, e di questo gli era grato. Aveva iniziato con l'illustrare i caratteri basilari di quello con cui avevano a che fare, ma sul suo volto erano chiaramente visibili i segni del turbamento, così lontani dalla rabbia che ne traspariva l'ultima volta in cui si erano incontrati, diversi mesi prima.

Lo aveva accolto amichevolmente, quasi affettuoso nei modi, e a quel punto Michael non sapeva più che cosa pensare. Non sapeva quanto Edward avesse accennato al padre di loro due. E si diceva: "Se anche l'avesse fatto, non sarebbe più logico che mi odii? Che ce l'abbia a morte con me per più di una ragione?". Era evidente che si trattasse solo di compassione.

Preferiva pensare a quello, per calmarsi, mentre il medico gli parlava della prognosi. Perché si trovava già tanto stordito da non riuscire a formulare domande concrete, o a capire se c'era qualcosa in più che volesse sapere. Si sentiva ripetere che la biopsia aveva evidenziato la presenza del novantatre percento di blasti linfoidi nel suo midollo osseo, che era una quantità estremamente preoccupante, a quanto pareva, anche se non fu proprio quella l'espressione usata. Tra una parola e l'altra gli parve anche di capire che le speranze di guarigione in età adulta fossero più basse rispetto a quelle pediatriche, ma il discorso valeva piuttosto per pazienti di età anagrafica avanzata: lui era giovane; le statistiche non volevano dire niente.

«In culo le statistiche», sentì bofonchiare Edward a mezza voce, dopo che il padre ebbe pronunciato quella parola.

«Per completare la prognosi, e prima di iniziare la terapia di induzione», concluse poi Sullivan, «sarà necessario effettuare esami di funzionalità renale, epatica, glicemia, sierologia virale, ECG, RX toracica per essere sicuri che non ci siano infezioni nei polmoni o aritmie cardiache. Dobbiamo capire, soprattutto, se la malattia interessa anche il sistema nervoso centrale, e quindi servirà una lombare.»

Michael si sentì defluire dagli arti persino quel poco sangue che vi era rimasto, solo a sentire la parola.

«Sta' calmo», lo precedette Edward.

«No... quella non la voglio fare!»

«Mi dispiace, ma un'analisi del liquor cerebro-spinale è indispensabile: se ci fosse un riscontro di cellule tumorali anche in quella sede si dovrebbe procedere con una profilassi per prevenire una localizzazione alle meningi. Sarebbe inutile iniziare unicamente la chemioterapia endovenosa senza un accertamento.» Sullivan aggiunse un altro cumulo di parole per evitare che si impressionasse, per sminuire la portata di quel genere di procedure mediche, ma Michael già non lo ascoltava più.

Guardandolo, Edward capì dalla sua espressione che una nuova onda di ripensamento lo stava attraversando. La solita idea continuava a frullargli in testa: "Ne vale davvero la pena?".

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