19. Vita d'ospedale

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«Ciao», salutò Michael, dopo essere entrato nella stanza. Si avvicinò e lo baciò sulla guancia, approfittando dell'assenza di sua madre.

«Ah, smettila di baciarmi! Faccio schifo.»

«Non fai schifo», ripeté almeno per la cinquantesima volta, accomodandosi sulla sedia lì accanto. «Come ti senti, oggi?»

«Una merda, come la mia faccia: si è esteso il rush persino sul viso, dannazione! E mi dà un prurito da impazzire!»

«Non può essere peggio di quando hai avuto la varicella.»

«Ero piccolo, non me la ricordo la varicella!»

«Io sì, però, e ti assicuro che tu adesso sembri un fiorellino, rispetto a come si era ridotta la mia faccia con lo Zoster-virus, quando avevo undici anni.»

«Strano a dirsi, a vederti adesso.»

«Perché tutto passa, come vedi.»

«Davvero stai confrontando la varicella con quello che ho io?» Jake sospirò, lasciandosi cadere sul cuscino. «Speriamo allora che passi presto anche la vita stessa!»

«Per favore, non ricominciare.»

«Non starmi ad ascoltare, se ti dà tanto fastidio. Non posso neanche sfogarmi in qualche modo?»

Michael si guardò bene dal ribattere, perché sapeva che quella era stata una settimana molto dura per lui, la peggiore di tutte. E sì, malgrado il suo caratteraccio e per quanto gli facesse male sentirlo parlare in quella maniera, se ogni tanto aveva bisogno di sfogarsi con quegli sproloqui poteva anche giustificarlo.

La febbre non accennava a calare, pur mantenendosi a una soglia stazionaria e non pericolosa, ma rientrava tra gli effetti collaterali dei farmaci e non costituiva motivo d'allarme. Era andato in ipoglicemia un paio di volte e i medici monitoravano le sue funzionalità epatiche e renali, che fino a quel momento, grazie al cielo, avevano tenuto duro. Adesso ci si metteva anche l'eruzione cutanea, dannazione a lei!

«Non ho la forza di fare niente», continuava a lamentarsi, come sempre da cinque anni. «Stavo quasi meglio prima, sai.»

«Ma non respiravi, Jake! Adesso, invece, mi sembra che sotto quel punto di vista la situazione sia migliorata.»

«Sì, grazie agli steroidi che mi gonfiano come una palla! Se penso che mi toccano altre due settimane di questa tortura... io... avrei solo voglia di farla finita! Sono stanco di questa vita di merda!»

Fu la volta di Michael, di sospirare e massaggiarsi le tempie come faceva quando era afflitto dal mal di testa: già a quell'ora, poi, dopo aver dormito poco durante la notte. Se pensava di dover arrivare almeno fino alle tre del mattino senza chiudere occhio vedeva già tutto nero, ma probabilmente quel pomeriggio lo avrebbe accettato, il passaggio che Edward agognava tanto di dargli alla fine del turno.

Restare accanto a Jake non sarebbe stata una brutta occasione per riposarsi, anche solo tenendosi compagnia a vicenda senza parlare, ma quando quello attaccava a commiserarsi da cima a fondo non lo sopportava proprio. "L'energia per piangerti addosso la trovi sempre, però!", gli sarebbe piaciuto infierire una bella volta, ma sapeva che se l'avesse fatto gli avrebbe tenuto il muso per almeno due ore, e quella era l'ultima cosa che voleva.

«Ti lascio riposare o ti va di fare qualcosa?» s'interessò, tanto per cambiare argomento. «Vuoi vedere un film? O preferisci che ti legga io un libro?»

«Grazie al cielo ancora ci vedo. Forse per poco, non si sa mai, ma preferisco farlo da solo. A proposito di questo, che diamine ti è saltato in testa di non continuare quella cosa... come si intitolava? Quel racconto dell'angelo della morte che attraversa i secoli dell'evoluzione osservando le incarnazioni dell'anima che ama.»

Il dottoreWhere stories live. Discover now