8. La maratona di Dr. House

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«Non so perché, ma durante la seconda metà di dicembre, con tutta la frenesia del Natale, il lavoro qui si raddoppia», fu la constatazione giornaliera di Max, in uno dei pochi momenti in cui erano riusciti a riunirsi davanti al distributore di bevande calde, in quella agitata domenica sera.

«Secondo me si tratta solo di una tua suggestione», contraddisse come al solito Amy. «Non ti piace il Natale, d'accordo; ciò non vuol dire che tu debba usarlo come capro espiatorio dei nostri turni straordinari.»

«Non si tratta di suggestione, ma di statistiche.»

«È vero, ragazzi, e comprovato.» La Miller s'infilò nel discorso, anche lei giunta a farsi il suo piccolo coffee-break, una volta tanto. I quattro si sentivano quantomeno obbligati a mantenere una certa compostezza al cospetto del loro capo; quella donnina rotondetta e bassa quasi la metà di loro incuteva il giusto timore col solo sguardo irreprensibile e fulminante, persino in quel momento di relax. Amy restò saggiamente in silenzio, evitando di contraddirla.

«Succede così tutti gli anni, sotto le feste», spiegò, mescolando con energia un doppio espresso extra-zuccherato. «C'è chi cade mentre cerca di appiccare le luci sulla grondaia del tetto, chi cucina e si ferisce o si ustiona, chi compra i regali all'ultimo secondo intasando le strade e aumentando il rischio di incidenti, chi fa indigestione alle cene delle rimpatriate e trascorre le notti in ospedale, e giù con le lavande gastriche.»

Era vero, avevano già avuto nove casi di indigestione.

«Per non parlare delle influenze stagionali, non solo in anziani e bambini, aggravate dalle basse temperature», continuò la Miller. «Infine ci sono quelli che non reggono all'impatto con i parenti che non vedono più da un intero, misericordioso anno, e vanno fuori di testa. Ma di quelli, per nostra fortuna, se ne occupano due piani più sopra.»

Dove c'era Psichiatria. Probabilmente lei faceva parte della medesima lizza di persone, dato il suo umore sempre nero in quel periodo. Diede l'ultimo sorso e girò sui tacchi, non senza aver prima intimato ai discepoli di non affogarci, sopra quei bicchieri di plastica, prima di aver terminato il loro giro-visite. Quando fu già di alcuni passi lontana tornò a voltarsi scuotendo minacciosa l'indice paffuto: «Non dubitatene: anche voi cadrete vittime di questa frenesia!».

«Io non ci credo», ribadì Amy non appena la Miller si trovò a debita distanza.

«Ti dico di sì, invece, tutti sono strani. Come mia sorella, per esempio: sarà l'idea delle vacanze, saranno tutti quegli ormoni in circolo... Io stesso mi sento strano.»

«Anche per te sarà colpa degli ormoni?» scherzò Gerard. «O magari perché stai oltrepassando la sessantesima ora di un turno iniziato... vediamo... venerdì mattina?»

«È vero, adesso che ci penso», constatò Edward, premendo il bottone del suo terzo caffè prima di affrontare la nottata. «Questa settimana abbiamo vissuto in ospedale. Mangiando alla mensa, se va bene, dormendo a sbalzi tre minuti per volta nella stanzetta, rubando pezzi di torta nello stanzino degli infermieri...»

Amy alzò un sopracciglio, guardandolo costernata. «Tu rubi dolci?»

Gerard la rassicurò: «Ti confermo che Èd, in quanto a dolci, ha già pagato abbastanza», guadagnandosi dall'interessato un'occhiata fulminante.

«Beh, se facciamo una statistica», considerò Max, «il tempo che passiamo qui dentro è molto di più rispetto a quello che trascorriamo nelle nostre case. Da quando ho iniziato il programma io e Melanie non ci vediamo mai: so a malapena come va a scuola, e a volte mi chiedo se non sia meglio mandarla dai nonni, in New Jersey. Non dico solo per Natale. Ma è una decisione difficile: sarebbe quasi dall'altra parte del mondo!»

Il dottoreWhere stories live. Discover now