26. Nuovi e vecchi incontri

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Si poteva dire che si sentisse addirittura più teso di Michael? Non che ci volesse molto, a essere più nervosi di uno che quella mattina si era vestito canticchiando e aveva preparato il caffè ballettando su quelle note improvvisate, serafico come un guru indiano. Aveva l'aria trasognata, come se avesse appena raggiunto il nirvana grazie a qualche stupefacente. D'altra parte gli aveva osservato bene le pupille e non erano dilatate: non sembrava avesse assunto droghe. Non droghe materiali, almeno.

«Ti è per caso successo qualcosa di particolare, oggi?» gli aveva chiesto la sera prima, mentre si trovavano a cena.

«No... che cosa avrebbe dovuto succedermi?» si era sentito rispondere con aria vaga.

«Tu non me la racconti giusta.»

Ma non aveva indagato oltre. Non poteva certo dispiacergli vederlo felice, specie se ripensava alla differenza di colore sulla sua faccia rispetto all'ultima volta in cui lo aveva incontrato prima che si sottoponesse a un prelievo di sangue.

Più che altro era lui a sentirsi titubante. Tuttavia, dal momento che ormai aveva dato la propria parola, non si sarebbe tirato indietro a costo di rimettere piede in quel dannato ospedale: botta e fuga nel reparto di Infettivologia, con la speranza di incontrare meno persone possibile che fossero state abbastanza in confidenza con lui da sottoporlo a un terzo grado.

Alle otto di mattina già si trovavano nel parcheggio di fuori, tanto per togliersi il pensiero. Sapendo che in quell'occasione entrava lì dentro solo come accompagnatore, Edward trovò il coraggio di varcare la soglia dell'edificio. Naturalmente conosceva tutti, all'accettazione, ma preferì non farsi notare da chi non lo avesse riconosciuto per primo. Qualche infermiera maleducata lo guardò bisbigliando all'orecchio della vicina, ma lui nemmeno ci badò, visto che il suo più grande timore era incontrare Max o suo padre, non necessariamente nell'ordine.

Presero l'ascensore per salire nel reparto, e lì dentro furono soli per tutta la traversata. Anche il corridoio era abbastanza vuoto: giusto un paio di specializzandi che conosceva di vista e qualche infermiere. Quando raggiunsero la sala d'aspetto capì che per il momento il pericolo era scampato e magari era anche il caso di dire a Michael qualcosa per distrarlo, visto che, quando si trovava a quel punto, cominciava a vacillare. Meno del solito, quel giorno: doveva riconoscerglielo.

«Allora, vedi che non è stato poi così terribile tornare qui dentro?» si sentì dire dal suo amico, mentre era ancora immerso nei propri pensieri. «Non è familiare come una casa, per te, questo posto? Non ti è mancato il fastidioso odore di medicinali e disinfettante?»

«Perché avrei dovuto sentire la mancanza di cose tanto spiacevoli?»

«Beh, quando ti abitui a qualcosa, a prescindere da quanto sia gradevole o meno, non finisce pur sempre per diventare parte di te e mancarti quando non la possiedi più?»

«Neanche per un attimo», mentì spudoratamente. Restarono per qualche secondo in silenzio, ascoltando i rumori ovattati che provenivano dall'ambulatorio dove si stavano effettuando i prelievi: qualche urletto della ragazza appena entrata fece sussultare un po' tutti, senza contare che la videro uscire dopo una quantità spropositata di tempo, pallida come uno straccio.

«Mio Dio, sembra peggio del solito!» mormorò Michael, impallidendo a sua volta.

«Suvvia, se non vuoi farlo ce ne torniamo a casa direttamente. Tanto lo so che era tutta una messa in scena per farmi venire qui: adesso che hai ottenuto il tuo scopo puoi anche evitare di sottoporti a una cosa che disprezzi e puoi fare benissimo tra qualche altro mese.»

«Eh no, caro. Credi che sia così codardo? Ormai sono qui e lo faccio.»

«Pensi che ci sia effettivamente la possibilità che queste tue analisi risultino positive?»

Il dottoreWhere stories live. Discover now