31. Benzodiazepine

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Sperava proprio di non disturbarlo mentre era impegnato in qualcosa di differente, con Robert o con altri, visto che non lo aveva avvertito prima di presentarsi lì. "Puoi venire quando vuoi", gli aveva assicurato d'altronde, il che significava che poteva aspettarsi una sua visita.

Edward, poi, non aveva intenzione di trattenersi molto. Giusto il tempo di prendere qualche abito, ficcare i libri più usati in una busta molto resistente e caricare tutto in macchina. Dopo di che avrebbe tolto il disturbo, come aveva promesso. Quando si trovò di fronte alla porta dell'appartamento non seppe nemmeno se adoperare la propria chiave d'ingresso o se fosse il caso di suonare, prima, per annunciare la propria presenza. Forse era meglio fare così, si disse dopo averci rimuginato già troppo; suonò discretamente una sola volta e attese.

Attese, ma nessuno rispondeva. Non sembrava provenire alcuna luce dalla fessura sotto la porta, contro la penombra del pianerottolo, nemmeno quella tenue della cucina, perciò, dopo alcuni minuti, si risolse a sfoderare la chiave e a girarla piano nella serratura.

Tutto buio, dentro: luci spente sia in cucina che nelle camere. E non era nemmeno con un cliente, visto che pure la porta della stanza di destra era mezza socchiusa, con il letto ben sistemato all'interno.

«Michael, sono Edward. Ci sei?»

Non ottenne risposta. Con tutta evidenza il suo amico non si trovava in casa.

E che strano effetto, tornare lì dentro, anche se non era trascorso nemmeno un giorno intero dall'ultima volta che vi aveva messo piede. In quelle poche ore gli sembravano accaduti gli eventi di un anno intero. Il solo pensarci lo faceva sentire travolto, sospinto da un vortice che non aveva potuto che assecondare per non esserne risucchiato.

Avanzò discretamente verso la cucina e accese la luce, dando forma al groviglio di stoviglie ammassate sul lavandino e al tavolo sgombro, se non per una miriade di fazzoletti di carta macchiati di...

Li esaminò, per accertarsi che il liquido ormai secco che li tingeva fosse davvero sangue. Ce ne erano alcune gocce anche sulla sedia e sul pavimento. Non riuscì a capire se fosse stato provocato da una piccola ferita o da una banale emorragia nasale, ma associarlo a Michael gli diede non poco sgomento. E lui dove si trovava, ora?

Gli venne in mente che magari gli aveva mandato un messaggio e lui non aveva potuto leggerlo, così si fiondò in camera per recuperare il caricabatterie del telefono, e premette l'interruttore ancor prima di accorgersi dell'involucro appallottolato sotto le coperte, i soli capelli che spuntavano sul cuscino.

«Oh, cavolo, Michael!» Si morse la lingua, temendo di averlo svegliato, e con delicatezza spense di nuovo la luce.

Non immaginava proprio di trovarlo in casa a dormire, a quell'ora di tardo pomeriggio. Poteva anche essere stanco perché la notte scorsa non aveva dormito per niente, o magari era intontito dall'influenza: aveva avuto il raffreddore fino al giorno prima, e...

"Sta' a vedere che si è impressionato per un capillare rotto mentre si soffiava il naso e mi è svenuto nel letto!" Così accese la lampada sul comodino dalla propria parte e si avvicinò al suo capezzale. Eppure, a giudicare dalla posizione a gomitolo su un fianco, con le braccia piegate e le mani rilassate accanto al viso, non sembrava aver perso i sensi inavvertitamente. Sembrava invece essersi infilato a letto ed essere beatamente scivolato nel sonno.

Era così bello rivedere il suo viso, così disteso, addormentato come un bambino immerso nel suo mondo onirico, che gli sarebbe venuto quasi da sorridere, se tuttavia non ci fosse ancora stato qualcosa che non lo convinceva. Vero che Michael aveva il sonno profondo e mentre dormiva non emetteva un sibilo, tanto che più di una volta, quando dormivano vicini, gli aveva accostato un dito alla carotide per sincerarsi che fosse vivo. Ma così...

Il dottoreWhere stories live. Discover now