37. Standby

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Il Saint Catherine esisteva ancora, a Oakland: ne visitò il sito internet. Aveva mantenuto la medesima denominazione, ma nel corso degli anni, dopo la chiusura dell'orfanotrofio, era stato trasformato in un ospedale pediatrico privato. Sempre gestito da ordini religiosi, tuttavia, il che lasciava presumere che parte del vecchio personale potesse ancora trovarsi impiegato presso la struttura.

Gli occorse appena una mezz'ora per raggiungerlo. Si trattava di un edificio ampio e di recente ristrutturazione, situato in una zona centrale ma tranquilla. Usufruì del grande parcheggio antistante ed entrò nel piccolo atrio, già saturo del tipico odore che si respirava nel reparto di pediatria: disinfettante e calore umano, misto a qualcosa di idealisticamente vicino al profumo acre dell'incenso.

Le pareti erano tinteggiate di giallo, un colore che metteva allegria, e adornate di disegni stilizzati realizzati da qualche piccolo ospite, incastonati in vere cornici. C'era un salottino per le famiglie in attesa, con dei giocattoli per la prima infanzia appoggiati sul tappetino al centro. Tutto molto pulito, tutto confortevole.

«Desidera?» chiese dall'accettazione una ragazza non più vecchia di lui.

Le parlò con molta gentilezza, si presentò come ciò che realmente era e le mostrò anche il cartellino di riconoscimento, proprio come un poliziotto che presentava il distintivo. Infine cercò di spiegarle: «Mi trovo qui perché ho necessità di reperire delle informazioni a proposito di un mio paziente».

«È un paziente che è stato ricoverato qui da noi?»

«Non proprio. Si tratta di un ragazzo che ora ha ventiquattro anni e ha trascorso qui parte della propria infanzia, quando questo posto era ancora un istituto per ragazze madri e bambini senza famiglia.»

«È vero, sì: dal duemilauno i bambini sono stati trasferiti nelle case-famiglia ed è stata aperta la nuova struttura. Ma io, sinceramente, non so proprio come aiutarla, riguardo a questo paziente di cui mi parla. Cosa le serve in particolare? Una cartella clinica?»

«Qualunque documento che riguardi lui o la donna che lo ha messo al mondo, che so essere morta poco dopo, forse di parto. Lei sa se esistono ancora documenti relativi a quel periodo, in archivio, o da qualche parte?»

«Mi dispiace, non so dirle niente. In ogni caso, non credo che la nostra struttura sia autorizzata a divulgare questo genere di notizie private o documenti personali, sa, per la legge sulla privacy. A che anno ha detto che risalgono, queste informazioni?»

«Millenovecentottantasette. Sedici ottobre. Michael è il suo nome, ed è stato adottato nel novantacinque dalla famiglia Becker. Kate: la madre biologica si chiamava Kate. Deve pur esserci un suo certificato di nascita, dico bene?»

La vide rimestare un po' col terminale, compiere qualche giro di mouse, digitare delle parole sulla tastiera. «Sul database non compare, ovviamente. Mi scusi... l'ho cercato per capire se fosse mai tornato qui in qualità di paziente.»

«No, no... lui ha vissuto a San Francisco, con la famiglia adottiva. Non c'è qualcuno che sia in grado di darmi qualche informazione? Anche solo di dirmi dove sono finiti quei documenti? Per favore, è molto importante!»

«Tutto quello che posso fare è farla parlare con qualcuno dell'Amministrazione. Loro forse sapranno questi particolari: io non so dirle dove siano finiti i vecchi fascicoli che si trovavano negli archivi prima del restauro. È passato tanto tempo... ma, per quanto ne so, molte delle sorelle e infermiere che gestivano l'istituto in precedenza lavorano ancora qui.»

«Non può farmi parlare con qualcuna di loro?»

«Sono molto impegnate, signore.»

«Posso aspettare. Non ruberei che un attimo di tempo!»

Il dottoreWhere stories live. Discover now