2. "Come sei cresciuta!"

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Noemi si sporse oltre il cancelletto davanti al quale si erano appena fermate. Una targhetta assegnava all'abitazione il numero ventiquattro, mentre un'altra, sotto, metteva in guardia i visitatori con l'immagine di un pastore tedesco e la scritta attenti al cane.

"Irene!" chiamò Noemi. "Irene, scusa, c'è Isabella?"

La donna bionda in canottiera, ciabatte e calzoncini che stava innaffiando i gerani alzò gli occhi, agitò una mano nella loro direzione e sorrise.

"Ciao, Noemi! Isa non c'è, è in paese con gli altri. Li trovi al Jolly Bar, sicuro." La signora chiuse il rubinetto e posò il tubo di gomma che stava usando per dar l'acqua ai fiori. "Ma fatti guardare un momento. Oddio, come sei cresciuta! Non ci posso credere, tra un po' sei più alta di me..."

Alina si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo. Il come sei cresciuta era un classico al quale gli adulti non sapevano mai rinunciare. Bastava stare lontani per più di quattro o cinque mesi, per far sgranare loro gli occhi davanti all'incredibile metamorfosi. Parenti e amici di famiglia lo dicevano di continuo anche a lei, che a differenza di Noemi era sicura di essere identica a com'era in quinta elementare!

Noemi fece spallucce e sorrise con una punta d'imbarazzo. "Grazie," replicò, togliendosi il cappello di paglia e tirando una ciocca dietro l'orecchio. "Fa così strano aver già finito la prima media!"

Dall'interno della casetta arrivò l'abbaiare secco e acuto di un cane. Una cosa era certa: checché ne dicesse il cartello, l'animale che produceva quei versi non era un pastore tedesco.

"Eh, dillo a me, tesoro," sospirò l'altra, con gli occhi che si velavano di tenerezza, "mi sembra ieri, che vi gonfiavo la piscinetta di gomma qui in giardino e ci facevate il bagno insieme, tu e Isa!"

Oh, no. Tutto, ma non i dolci struggenti ricordi d'infanzia, pensò Alina. Fece un passo indietro, nella speranza di sottrarsi alla conversazione e, possibilmente, segnalare a Noemi che sarebbe stato meglio andare.

Ma fu inutile, perché, un momento dopo, lo sguardo della signora Irene (ovvero, com'era evidente, la mamma di quell'Isabella-detta-Isa) si posò su di lei.

"E questa biondina, chi è?" domandò, nella mezza cantilena con cui ci rivolge alle bambine piccole. "Una cuginetta?"

Ci risiamo. "Io e Noemi siamo in classe insieme," ribatté Alina. Davanti all'espressione sorpresa della donna, non poté fare a meno di aggiungere: "Incredibile ma vero."

Noemi scoppiò a ridere. "Lei è Alina," disse, prendendola sottobraccio. "È la mia migliore amica. Non era mai venuta a Lantana, starà con noi un paio di settimane."

Il fastidio di Alina venne sostituito da una vampata di orgoglio e felicità, nel sentire Noemi che pronunciava le parole la mia migliore amica.

Lei e Noemi si erano conosciute solo nove mesi prima, il primo giorno delle scuole medie, ma erano state fin da subito inseparabili, malgrado avessero caratteri diversissimi: erano come due pezzi di Lego fatti per combaciare, due strumenti musicali perfettamente accordati, due insiemi di elementi disparati che si completavano a vicenda.

Alina strinse a sua volta il braccio di Noemi e trattenne una risata nell'immaginare cosa stava vedendo, in quel momento, la madre di Isabella: una bella ragazza alta e slanciata dai capelli rossi, che dimostrava qualcosa in più dei suoi dodici anni, con un grazioso vestitino blu e dei graziosi sandali ai piedi e un grazioso cappello di paglia, aggrappata a una nanetta sogghignante di un metro e quarantadue, con i capelli biondi legati in una codina aggrovigliata, il fisico di uno stuzzicadenti e una maglietta senza maniche dei Metallica con la scritta TO LIVE IS TO DIE che copriva, a mo' di sottana, l'orlo dei pantaloncini jeans sfilacciati.

"Allora, Noe, che dici? Andiamo a fare qualche danno al Jolly Bar?" chiese Alina, sperando di strappare uno sguardo scandalizzato (o almeno preoccupato) alla signora che le fronteggiava. Dall'abitazione arrivò un'altra scarica di latrati.

Irene girò la testa. "Arrivo, Indiana! Buona!" Si rivolse nuovamente a Noemi. " Voi andate pure. Più tardi vado a salutare i tuoi. Sono sicura che Isa sarà felicissima di vederti!"

Noemi salutò e montò di nuovo sul sellino. La sua bicicletta era vecchiotta, grande, con un cestino di vimini appeso davanti. Alina la seguiva sulla sua mountain bike formato ridotto. Aveva voluto portarla da Roma, anche se Noemi si era offerta di prestarle una vecchia bici di quando era piccola; conoscendola, si trattava probabilmente di una bicicletta rosa di Barbie.

Uscirono dal Residence e si inerpicarono per la salita che le avrebbe condotte alla strada principale. Il sole si era abbassato sull'orizzonte e il caldo era diventato sopportabile.

"Il cane della tua amica si chiama come quello di Indiana Jones," osservò Alina, pigiando forte sui pedali con il sedere sollevato e le mani ben strette sul manubrio.

"Ah... sì?" Noemi non aveva le marce sulla bici e già iniziava a mancarle il fiato.

"Sì. Indiana Jones si fa chiamare così perché il suo cane si chiamava Indiana. Lui in realtà si chiama Henry, come suo padre. Lo dice nel terzo film."

"Forse la mamma di Isa è fan di Indiana Jones. Insomma, come biasimarla?" Noemi fece gli occhi a cuoricino. "È Harrison Ford!"

Noemi faceva gli occhi a cuoricino più spesso di qualsiasi altra ragazza Alina conoscesse. Glielo perdonava volentieri, ma alla lunga era esasperante.

"Noe! Guarda che Harrison Ford è più vecchio di mio padre," esclamò Alina, storcendo il naso.

"Eh, lo so! È un po' invecchiato, ma rimane sempre un bell'uomo," sospirò Noemi. Alina sospettò che stesse accentuando il suo tono svenevole, nel tentativo di irritarla.

"Forse nella famiglia della tua amica hanno la fissa per le I: Isabella, Irene, Indiana. Come si chiama il padre?"

"Roberto."

"Mannaggia. Ha rovinato l'effetto!"

Arrivarono in cima alla salita. Alina si guardò intorno: il lungo nastro d'asfalto che si srotolava sotto le ruote, i campi di grano, le cascine, gli alberi che non avrebbe saputo nominare stagliati contro lo smalto azzurro del cielo. Era una giornata limpida come il cristallo e i colli chiazzati di marrone e verde che delimitavano l'orizzonte sembravano vicinissimi.

"A proposito," disse Alina, "ma non c'è qualche rovina da queste parti? Qualche cripta inesplorata, un tempio maledetto, una caverna segreta?"

Noemi inarcò le sopracciglia. "Ali, siamo in Toscana, mica nella Giungla Nera. Perché me lo chiedi?"

"Sarebbe bello esplorare qualche posto misterioso, no?"

"Ti assicuro che ci sono da fare un sacco di cose molto più interessanti e meno pericolose."

"Non starai parlando di ragazzi, vero?" Alina si avvicinò con la bici a quella dell'amica, fingendo di speronarla. Noemi si scansò, allungando la pedalata.

"Forse..." replicò, enigmatica.

"No, guarda Noe, devi promettermi una cosa: per due settimane non voglio sentir parlare di ragazzi."

"Cosa?"

"Solo per queste due settimane, ok? Me lo prometti?"

Noemi rovesciò indietro la testa e rise forte; una risata così allegra che finì per contagiare anche Alina.

"No, Ali," rispose, "non te lo posso promettere assolutamente."

Il mistero della casa in riva al mareWhere stories live. Discover now