Isabel (3)

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"Confidarsi con qualcuno, questo si che è da pazzi..."
                                     Luigi Pirandello

Corsi subito nella mia stanza, con la sensazione di star trasportando con me un orribile macigno nel petto. L'avvocato Smith aveva cinque fottutissimi figli ed io non ne sapevo niente. Mia madre non me ne aveva mai parlato, ero completamente all'oscuro di ciò. In questi due giorni ero già venuta a conoscenza di troppe menzogne per i miei gusti.

Aveva anche osato giustificarsi dicendo quanto in realtà fosse preoccupata per me; era preoccupata per i disturbi che la dottoressa Baker mi aveva diagnosticato il precedente anno. In poche parole, voleva pararsi il culo marciando sulle mie difficoltà, un qualcosa che da lei non mi sarei mai aspettata.

Stava sul serio pensando che avrei accettato far entrare nella mia vita quella gente? 

Erano davvero troppe persone ed io non ce l'avrei mai fatta. Ragione per cui, preferivo stare nella mia amata solitudine. Una cosa che a tanti miei coetanei faceva paura, ma non ne comprendevo il motivo.

La trovavo un posto sicuro nel quale potersi rifugiare e ritrovare la propria tranquillità, senza giudizi e senza opinioni altrui. Era un momento nel quale potevo essere me stessa, senza alcun tipo di maschera. 

Per non parlare del ribrezzo che provavo per i sentimenti. Loro sono in grado di farti provare solo una cosa: la sofferenza. Sono vortici pronti a risucchiare tutta la felicità e la spensieratezza.

Vogliono che tu soffra.
Vogliono le tue lacrime.
Vogliono la tua speranza, per poi ricambiarla con il dolore puro.

Pensando di aver chiuso in maniera corretta la porta, mi adagiai sul morbido materasso. Il respiro era affannato per via dell'agitazione, ed era così forte da farmi provare una mini-contrazione all'interno dello stomaco. Portai una mano su di esso e iniziai a fare dei bei respiri, pensando a quanto accaduto. 

Sentivo le lacrime pungere, erano prepotenti ed impazienti di uscire. Non potevo permettermelo, piangere era un qualcosa riservato solo alle persone più deboli, quelle emotive e fragili. Ed io non ero una di loro. In quel momento realizzai che c'era solo una cosa che potessi fare per potermi calmare: chiamare Allison. Dovevo raccontarle tutto.

Afferrai il cellulare e lo poggiai sulla scrivania, così da poter fare due cose contemporaneamente: parlare con lei e prepararmi per poter almeno risultare presentabile. 

Che fottuto odio le visite inaspettate. 

Aprii le ante dell'armadio e adocchiai subito un paio di jeans di colore verde scuro. Erano a vita alti e una volta indossati, potei notare la forma dei miei glutei. Con i vari allenamenti gli avevo tonificati parecchio e ne amavo il risultato. Per la maglietta invece, optai per un top a maniche corte nero. 

Era molto semplice e non risultava per niente volgare. Mi osservai allo specchio e, come ogni volta, mi veniva voglia di romperlo in mille pezzi per poterne conservare le schegge. Un sospiro rumoroso inondò la stanza e la voce della mia migliore amica divenne quasi inesistente per me. Osservai con attenzione le linee dei miei fianchi, delle mie gambe e delle mie braccia. 

Potevo fare di meglio.
Dovevo fare di meglio.

Evidentemente, gli allenamenti non bastavano. 

«Isabel, sei ancora in linea?» La voce di Ally mi risvegliò dai miei invadenti pensieri. Scossi la testa e andai a prendere la valigetta dei trucchi. Sedetti sulla sedia della scrivania e accesi la luce.

I need youWhere stories live. Discover now