Isabel (10)

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"Il pensiero della morte è come uno specchio, in cui la vita è apparenza, breve come un sospiro. Fidarsene è errore."
                      William Shakespeare

Era la signora Walker, disperatamente in lacrime. E poi realizzai...

«Allison», urlai, in preda alla paura. La mia migliore amica, distesa a terra con una marea di sangue sotto di lei. Io e Logan ci affrettammo a correre verso la sua direzione. Il suo corpo, coperto solo dal tessuto dell'intimo, non sembrava compiere alcun tipo di movimento.

Presentava vari lividi, eccessivamente rossi. Impallidii quando toccai la sua pelle gelata. Un'ondata di panico mi travolse, non riuscivo a capire se fosse reale o meno. 

Mi sporsi in avanti e mi parve avere un mancamento: aveva un proiettile conficcato nella pancia. Ed è proprio in quel momento che urlai, urlai con una forza innata che non sapevo neanche di avere.

«Che le è successo?» Domandai, mantenendo un tono di voce alto mentre le mie mani tremanti strinsero i capelli. Avevo il cuore in gola, poca aria nei polmoni e le gambe che a breve avrebbero ceduto, facendomi scaraventare sul suolo.

Mi sentivo morire. 

«Un... Un ladro è... È entr.. Entrato in casa e...» La signora Walker non riuscì a finire la frase a causa dello straziante pianto che l'aveva travolta.

Nonostante non mi avesse spiegato l'accaduto in modo chiaro, la mia mente sembrava aver vissuto quel momento. In una rapida frazione di secondo compresi qualcosa che non avrei mai voluto capire: la cattiveria dell'essere umano.

«E l'ambulanza? Qualcuno chiami subito la cazzo dell'ambulanza» esclamai, gridando. Esercitai una forte pressione sull'evidente emorragia della ragazza che consideravo una sorella. Provavo in tutti i modi a fermare la fuoriuscita di sangue, ma niente. Il flusso era incontrollabile.

«L'ho chiamata... Saranno qui a momenti», sussurrò lei, con la voce spezzata dal pianto. Il suo sguardo vagò per tutta la casa mentre le mie corde vocali mi pregavano di smettere di urlare. 

«Allison ti prego, resta con me.» La pregai nella speranza che, in qualche modo, potesse sentirmi. «Non lasciarmi anche tu» dissi, tra i vari singhiozzi. «Non posso perdere anche te» ammisi, facendo atterrare una lacrima sul suo dolce viso. 

Il mio pianto divenne sempre più disperato perché in cuor mio sapevo che, se non fossero arrivati subito i soccorsi, l'avrei persa per sempre. 

Avrei perso il mio rifugio, il mio punto di riferimento, la sorella che non avevo mai avuto. Era l'unica goccia di speranza che avevo, vivere senza di lei non avrebbe più avuto un senso.

Non poteva morire.
Non poteva.

Allison era una ragazza che brillava di luce propria ed aveva la grande capacità di trasmettere le sue emozioni anche con un semplice abbraccio. In poche parole, era una persona straordinaria. Non si meritava tutto ciò che le stava accadendo.

Sentivo di avere tante piccole schegge dentro il cuore e dentro i fianchi. Il mio corpo emetteva un sussulto ogni volta che la osservavo. Ero agitata, angosciata ed arrabbiata.

Logan, oltre ad allontanare la mamma della vittima, mi aiutò a tenere sotto controllo l'emorragia. E finalmente, dopo minuti sembrati interminabili, udimmo il forte suono della sirena dell'ambulanza.

Erano arrivati i soccorsi.

Gli infermieri, o chiunque loro fossero, entrarono a passo svelto in casa e senza privarsi di alcuna delicatezza, staccarono le mie mani dalla sua pancia. Lo fecero con così forza che sentii un forte ed incolmabile vuoto nel petto.

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