Isabel (9)

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"Ben venga il caos, perché l'ordine non ha mai funzionato"
Charles Bukowski

Avevo accettato l'invito dello strizzacervelli, volevo ringraziarlo per il gran gesto che aveva compiuto nei miei confronti. In un certo senso, era riuscito a mettermi a mio agio. Una cosa abbastanza complessa, considerando il mio carattere. E per questo, gliene ero infinitamente grata.

Colsi il breve momento di solitudine per poter osservare meglio l'ambiente in cui mi trovavo. Sembrava essere tutto surreale; quella non era la mia stanza, non c'erano le mie lenzuola profumate, non c'erano le fotografie appese al muro, non c'era il mio profumo.

Inoltre, il colore del muro era bianco. Non mi sentivo per niente rappresentata da quel colore: stava a significare la purezza e l'innocenza. Ed erano due qualità che non rispecchiavano affatto la mia persona. Mi erano state strappate via quando ero solo una bambina, incapace di reagire e comprendere a pieno la situazione. Scambiavo tutta quella cattiveria per un semplice gioco.

Dentro di me provavo un forte senso di vuoto e di inadeguatezza, non sentivo di meritare tutte queste cose. Come mi aveva sempre ripetuto James quando ero piccola, non meritavo di vivere, tantomeno tutte queste attenzioni. Un'infiltrata, ecco cos'ero. Perché nonostante la casa possedesse uno spazio molto ampio, sentivo che non c'era posto per me.

Avevo bisogno di uscire, avvertivo la necessità di respirare dell'aria fresca. E tutto ciò solo perché mia madre aveva avuto la fantastica idea di trasferirsi qui, senza neanche conservare un piccolo riguardo nei miei confronti. Non mi aveva dato la possibilità di conoscere le persone che avrei avuto accanto per il resto della mia vita. Aveva pensato soltanto a sé stessa.

La conoscevo meglio di chiunque altro e posso assicurarvi che l'amore le aveva fatto un brutto effetto. Ormai, era come entrata in uno strepitoso sogno. Un sogno nel quale c'erano solo lei e il suo compagno, io dovevo starne fuori. Aveva pensato bene di lasciarmi sola, con la scusa di vivere la vita che entrambe avevamo sempre desiderato.

In quel momento, ero incazzata sia con mia madre per il suo egoismo, sia con me stessa per esser salita in macchina. Dopotutto, ero maggiorenne. L'unico motivo che mi aveva spinta a scappare insieme a lei, era che avevo una terribile paura di rimanere sola.

Ero così arrabbiata che non mi preoccupai neanche di cambiare i vestiti, un qualcosa di fondamentale per me. Inoltre, avrei dovuto disfare le valigie. Un atteggiamento che per me stava a significare solo una cosa: la sconfitta.

Disfando tutto, avrei consegnato in mano la vittoria a mia madre. Avrebbe significato che avevo accettato la loro relazione e non era affatto così. Continuavo a sperare che la loro dolce storiella strappalacrime finisse e che saremmo tornate alla nostra normalità. Dovevo rimanere ferma sulle mie idee.

Come diceva sempre mio nonno: "La speranza è l'ultima a morire, piccola Isabel".

L'unica cosa che mi preoccupai di sistemare fu il trucco, quello che avevo era tutto colato. Tirai fuori lo specchietto e iniziai ad aggiustarlo.

Pochi minuti dopo aver finito di applicare l'ultimo filo di mascara, ascoltai il cigolio della porta che si stava aprendo e notai una figura maschile sporgere dal suo esterno.

«No ma tranquillo, non prenderti il disturbo di bussare come le persone normali.» Esclamai, anche se sapevo perfettamente che in quel momento e soprattutto, in quella situazione, non ero nessuno per dettare regole. Non pretendevo di iniziare a comandare tutti a bacchetta, ma come minimo, dovevo avere un po' di privacy.

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