Capitolo 5

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5. We have to talk.

Quel pomeriggio mi ero promessa di studiare e di anticiparmi i compiti per tutta la settimana, ma come potevo riuscire a concentrarmi dopo tutto ciò che era successo?

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Quel pomeriggio mi ero promessa di studiare e di anticiparmi i compiti per tutta la settimana, ma come potevo riuscire a concentrarmi dopo tutto ciò che era successo?

Quella mattina mi ero svegliata nel letto della persona che odiavo di più in assoluto e chissà cos'era successo mentre non rispondevo delle mie azioni. Avevo un black out, uno di quelli pesanti, e non sapevo se esserne felice o se essere arrabbiata.

Da un lato ero felice perché almeno avrei avuto una giustificazione con lui e non avrei pensato continuamente alle sciocchezze che avevo fatto; dall'altro ero arrabbiata con me stessa perché, appunto, non sapevo fin dove ci eravamo spinti e cosa avevamo fatto di preciso.

Tutte le ragazze a scuola raccontavano di come Alex fosse bravo a letto e di come avessero toccato il cielo con un dito grazie a lui, ma io questo non potevo saperlo e, soprattutto, non volevo saperlo. L'unica persona che sapeva la verità era la persona che stavo evitando e con cui non avrei mai avuto niente a che fare.

Frustata, chiusi il libro e scesi al piano di sotto.
Accesi la televisione e mi buttai sul divano, in cerca di qualche film o qualche serie TV interessante da guardare.
Dopo dieci minuti spensi la televisione.

Non riuscivo a concentrarmi nemmeno sulle dolci parole che Stefan stava dicendo ad Elena, dichiarandole per l'ennesima volta il suo eterno amore. Peccato che poi lei avrebbe scelto l'altro fratello Salvatore, il bello e dannato Damon, colui che era cambiato per amore.
Sarebbe bellissimo se anche nella realtà le persone cambiassero così facilmente, ma queste cose succedono solo nei film.

I miei pensieri furono interrotti dal suonare incessante del campanello.
Come avevo fatto a non sentirlo fino ad allora? Dannazione, avevo proprio bisogno di aiuto o, perlomeno, di parlarne con qualcuno.

«Katherine Stewart» la voce del mio migliore amico mi procurò un gran male di testa. Stavo ancora affrontando i postumi della sera precedente. «Sai che il cellulare non è un optional? Quando qualcuno ti chiama, dovresti rispondere» era nervoso e io non avevo le forze né di sopportare una ramanzina, né di rispondere a tono.

«Okay, mamma» tornai sul divano, dove mi buttai a peso morto.

«Dove hai lasciato il tuo cellulare?» chiese con le mani sui fianchi.

«Boh, forse in camera»
Non ricordavo nemmeno dove fosse finito il cellulare e questa era una cosa gravissima.

«Che succede?» chiese preoccupato.

Non potevo proprio nascondergli nulla, mi conosceva troppo bene, quasi meglio di me stessa. Di lui potevo fidarmi.

«Ieri sera sono andata alla festa di Alex Blake» cominciai.
Detta così sembrava una cosa stupida, di poco conto. Cioè, tutta la scuola la sera precedente era stata alla festa di Alex Blake.

«Non dirmi che hai incontrato quel coglione di Matt» si alterò.
Lui conosceva tutta la storia e aveva un esagerato istinto di protezioni nei miei confronti.

Magari fosse stato solo Matt il problema, ormai ero talmente abituata ad affrontarlo e a congedarlo che non ci facevo nemmeno più caso.

Pensandoci bene, quella sera Matt non si era fatto vivo, oppure lo avevo incontrato e non lo ricordavo? Probabile.

Scossi il capo, incapace di proferire parola. Mi veniva da piangere, tanto mi sentivo stupida.

«Ehi» si sedette accanto a me e mi carezzò i capelli. «Sai che puoi dirmi tutto» mi sorrise.

Era vero, di lui potevo fidarmi, ma lui odiava che io bevessi fino ad ubriacarmi, quindi sarebbe stato molto deluso da me. E soprattutto avrebbe dato di matto se avesse saputo che mi ero svegliata nel letto del più coglione della scuola.

«Resti qui stasera?» chiesi.

Avevo bisogno di stare con qualcuno. Se fossi rimasta sola avrei continuato a pensare e a ripensare, fino a farmi scoppiare la testa.

«Solo se mi prepari le crêpes» alzò l'indice assumendo un'espressione buffa.

Lo adoravo, era il migliore amico che tutte le ragazze desideravano ed era l'unico che, anche in circostanze catastrofiche come quella, riusciva a strapparmi un sorriso.

Il lunedì mattina è sempre traumatico e l'unica cosa che si desidera è restare a letto.
Ma quel lunedì era ben peggiore degli altri.

Non dormivo da due notti perché avevo paura di sognare quello sguardo profondo e quelle maledette labbra che avevano dominato la maggior parte dei miei sogni; quella persona, sfortunatamente, non dominava solo le mie nottate, bensì anche le mie giornate.

Non sapevo come, ma Alexander Blake era riuscito ad avere il mio numero e mi aveva tormentato per tutto il fine settimana con messaggi in cui mi chiedeva di parlare.

Ma nemmeno morta.

Le prime due ore di scuola ero riuscita ad evitarlo, ma poi accadde l'inevitabile.

«Dobbiamo parlare» aveva esordito con tono minaccioso, trascinandomi in una classe vuota.

Aveva ragione, dovevamo parlare, ma io avevo una paura tremenda di ciò che aveva da dirmi.
Presi un respiro profondo e mi preparai ad affrontare la peggior conversazione mai avuta prima di allora.

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