Capitolo 36

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36. I'm the perfect guy.  

Alex's pov Ero in ritardo, cazzo

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Alex's pov
Ero in ritardo, cazzo.
Mi ero appoggiato due minuti sul divano e avevo finito con l'addormentarmi, ero sempre il solito. Katy aveva proprio ragione quando diceva che ero inaffidabile.
Inutile dire che fossi in ansia per l'imminente incontro con il padre di Kat. Non mi era mai capitato di dovermi presentare ai genitori e ora che era arrivato il momento non avevo la minima idea di come comportarmi o come fare per non fare brutta impressione.

Temevo che il giudizio del padre potesse in qualche modo influenzare la relazione tra me e lei perché, da quello che avevo capito, avevano un legame molto speciale.
Non potevo permettermi di perderla, il solo pensiero di tornare a passare il resto delle mie giornate senza di lei mi faceva venire un dolore allo stomaco che non ero in grado di descrivere. Non mi era mai capitato prima di quel momento e, per quanto spaventosa, questa nuova sensazione mi piaceva.

«Cami» salii al piano di sopra e urlai per farmi sentire.
«Che vuoi» uscì dalla sua stanza sbuffando.
«Non fare sempre quest'espressione imbronciata, si formano le rughe» alzò gli occhi al cielo, tanto per cambiare. «Mi devi aiutare» dissi senza chiedere, tanto sapevo che mi avrebbe aiutato in tutto perché ciò che avevo in mente riguardava la sua migliore amica.

«Mhmm...» si picchiettò l'indice sul mento. «no!» fece per chiudere la porta. Riuscii a bloccarla in tempo con un piede. L'avevo fatto talmente tante volte a casa di Kat che quel gesto era diventato quasi un riflesso incondizionato.

«Parla, su» incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio, cosa che mi ricordò molto la mia piccola Katy.

«Allora, tu oggi sarai la mia alleata» le misi un braccio intorno alle spalle e le spiegai il mio piano per dimostrare alla mia ragazza, e soprattutto a suo padre, quanto io tenessi a lei.

Katy's pov
«Pronto?» chiesi per l'ennesima volta, non ricevendo risposta. «Pronto» ripetei ancora, ma il risultato non cambiò. «Chi cazzo sei?» urlai, stizzita
Chiama, sospira, riattacca.
Era la terza chiamata da parte di un numero sconosciuto in meno di un'ora.

Non era la prima volta che capitava: nel periodo in cui io e Alex non ci parlavamo ricevevo almeno una decina di chiamate da parte di un numero sconosciuto e, pensando che fosse lui, non rispondevo mai. Ormai con Alex avevo risolto, quindi non aveva alcun motivo di chiamarmi con lo sconosciuto. Forse era una delle tante ragazze che non aveva accettato la mia relazione con lui e che si divertiva a fare scherzi. Sì, doveva essere così per forza.

Mi convinsi di quel pensiero, quasi ad illudere me stessa, e scesi al piano di sotto.
«Papà» urlai, ma ovviamente non ricevetti risposta. Tanto per cambiare.
Con passo veloce entrai nel suo studio e sbattei violentemente la porta dopo esservi entrata. «Una risposta sarebbe gradita» incrociai le braccia al petto e lo guardai furiosa.

«Katherine, sto cercando una cosa, non è il momento» mi liquidò con un gesto della mano.

Eh no, quella volta non aveva via di scampo. «Ascoltami bene. - alzai il tono della voce. - Non ti libererai di me tanto facilmente, okay?» sembravo davvero una persona autoritaria, ero fiera di me. «Ora tu vai in camera, ti metti qualcosa di comodo e stasera sarai il padre più gentile del mondo, chiaro?» i ruoli si erano invertiti: la figlia richiamava il padre e il padre ascoltava in silenzio.

«Sissignora» fece il saluto militare e io dovetti reprimere un sorriso, con l'obiettivo di mantenere un'espressione seria.
«Ti voglio bene» lo abbracciai e ringraziai ancora una volta il destino per avermi donato un padre così meraviglioso.
«Io di più» mi diede un bacio tra i capelli.

Il nostro tenero momento fu interrotto dal suono del campanello di casa.
«Vado io» corsi alla porta, sperando che fosse il mio ragazzo.
Il mio ragazzo, il mio ragazzo, il mio ragazzo.
Era così bello ripeterlo con la consapevolezza dell'esistenza di un forte sentimento che ci legava. Aprii la porta ma, purtroppo, difronte non mi ritrovai Alex.
«Ah, sei tu» non riuscii a nascondere la delusione.

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