Tachistasi

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Samuel era arrivato al termine del viaggio. Un viaggio in solitaria durato tre anni. Un viaggio assurdo e incredibile, per pagarsi il quale aveva dovuto spendere tutto quello che aveva.

Aveva ceduto la sua azienda di successo, costruita pezzo a pezzo in vent'anni di lavoro. Aveva liquidato le sue proprietà, stupendo il mondo intero. Non aveva trattenuto niente per sé, né una casa, né un titolo, né un ruolo. Quando era partito tutto gli sembrava assurdo. Era arrivato a un passo dal non saper più che fare. Ma aveva tenuto duro. Dato che, se c'era una cosa in cui era capace, quello era proprio non mollare.

E alla fine il viaggio era cominciato.

Per la verità del tutto solo non era mai stato. E questo non per le migliaia di ore di filmati, per le centinaia di migliaia di immagini archiviate nei computer di bordo dell'astronave. Il silenzioso passeggero con cui condivideva l'astronave era un passeggero con cui condivideva il suo stesso corpo. Era la sua malattia.

Incurabile, come l'avevano definita tutti i dottori a cui s'era rivolto. Tutti salvo uno che, forse per allentare la propria responsabilità, aveva aggiunto:

"Incurabile... Per ora. Perché la speranza è che in futuro..."

Poi non aveva più avuto modo di rimangiarsi quello che aveva detto. Samuel l'aveva incalzato fino a farlo pentire amaramente di quell'unica parola che non avrebbe voluto vendergli. La sua abilità era sempre stata quella di pensare velocemente, agire velocemente e rischiare dove gli altri vedevano solo qualcosa di vago. Uscito dall'ultima visita medica, ormai non aveva avuto che un pensiero:

"Come fare ad aspettare finché una cura non fosse stata inventata?"

Il modulo di rientro stava per raggiungere gli strati più alti dell'atmosfera. Alla partenza si era preparato per un iniziale attracco alla Stazione Orbitale ma, da quando era partito, molte cose erano successe. Fra cui il fatto che la Stazione Orbitale non fosse più operativa.

Di questo contrattempo l'avevano avvertito quando era a circa sette Unità Astronomiche dalla Terra, fra l'orbita di Giove e quella di Saturno.

"Meglio, aveva risposto. Ho sviluppato una certa avversione per i luoghi affollati, ultimamente. Così non perderò tempo in anticamera, ma rientrerò direttamente a Terra. Perché la mia navicella può rientrare in atmosfera. Corretto? Era il piano alternativo, questo."

"Corretto. Non dovrebbero esserci problemi con gli scudi termici."

"Non dovrebbero?"

"Mi sono espresso male. Non ci saranno problemi. È una tecnologia molto testata... Lo era anche al momento della partenza."

Samuel ricordava ancora la parola che uno scienziato aveva coniato apposta per lui:

"Tachistasi."

"Prego?"

"La criogenetica non ha dato, al momento, risultati. Non siamo ancora riusciti a evitare che il ghiaccio faccia esplodere le cellule."

"E quindi?"

Non era capace di non arrivare rapidamente al punto. Non tollerava i logorroici.

"... e allora, nel suo caso, sarà la velocità a dilatare il tempo. Finché lei viaggerà abbastanza vicine a quelle della luce, il tempo per lei sarà dilatato. Quello che a lei sembrerà durare tre anni..."

"Sembrerà?"

"No. Non sembrerà. Mi sono espresso male. Il suo tempo, il suo vero tempo locale, sarà di tre anni. Mese più, mese meno."

Il professore fece una risata sgangherata. Era molto in imbarazzo di fronte a lui. O semplicemente non aveva familiarità con l'umorismo.

Chissà chi lo stava aspettando, a Terra? Il suo ritorno sicuramente stava facendo notizia. Anche se non tutti erano favorevoli a quello che aveva fatto. Tutto quello spreco di risorse per un uomo solo. C'erano movimenti di protesta quasi altrettanto numerosi dei sostenitori che aveva accumulato, qua e là, in tutto il mondo. Ma questo era il prezzo da pagare quando si faceva la storia, quando la si guidava senza rimanere su solchi già tracciati.

La sua astronave era arrivata fino al sistema di Alpha Centauri dove, con una complessa manovra fra le tre stelle, era stata lanciata nuovamente verso il Sole. Le università di tutto il mondo l'avevano celebrato come un eroe per le scoperte scientifiche che il suo viaggio aveva permesso e per le carriere che aveva agevolato.

Tuttavia aveva la sensazione sempre più netta, che sarebbero stati pochi quelli che lo stavano davvero aspettando. Quelli che aspettavano lui come persona, che lo avevano conosciuto prima della partenza. Sicuramente non ci sarebbe stata sua moglie. Ma questo se l'erano detti in faccia al momento della separazione. Nessun obbligo per nessuno.

Non ci sarebbe stato il dottore che per primo gli aveva messo la pulce nell'orecchio. Non sapeva quale dottore ci sarebbe stato ad attenderlo. Di questo non aveva voluto sapere nulla.

Aveva proibito che durante il viaggio gli si parlasse di questioni connesse alla malattia e alle eventuali cure che potevano esser state sperimentate nel frattempo. Avrebbe rischiato di deconcentrarsi dalla navigazione.

Forse nemmeno i suoi genitori ci sarebbero stati, ad attenderlo. Perché, ora che dai finestrini vedeva il colore dorato dell'aria che si infuocava durante la manovra di rientro, gli sembrava di rendersi conto per la prima volta di quello che aveva fatto.

"I coraggiosi non sono quelli che non hanno paura. Quelli si chiamano stupidi. Ma se gli ansiosi sono quelli che hanno paura prima le cose succedano, i coraggiosi sono semplicemente persone che hanno paura dopo che le cose sono accadute."

A lui sembrava di potersi definire coraggioso. Perché soltanto ora che il viaggio stava per finire, una certa paura cominciava a sentirla. Non più la paura delle incognite infinite dello spazio, del navigare dentro e fuori dalla Fascia di Kuiper e dalla Nube di Oort. Ora si trovava a dover confrontare i suoi tre anni di viaggio con i trent'anni che, nel frattempo, erano trascorsi sulla Terra.

Tanto valeva ripassare i discorsi che avrebbe tenuto, all'Università, all'Agenzia Spaziale, dovunque l'avrebbero invitato. E chiudere gli occhi. Stringere ancora una volta i denti.

Pochi minuti e anche questa era fatta.

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