La medaglia

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"Oggi non li costruiscono più i condomini con le scale al centro esatto della costruzione. Questa chiocciola che sale, con gli appartamenti tutto intorno..."

I consiglieri comunali faticavano a salire i gradini. E volendo anche parlare, per sembrare disinvolti, raddoppiavano lo sforzo.

"E con i mattoni pieni? Oggi userebbero i forati!"

"Sì, certo, i mattoni. Ma, vede, questa cosa delle scale... Che magari erano pensate per essere comode, come idea. Poterle riscaldare d'inverno... Eppure oggi nessuno se le sognerebbe, certe cose. Non sarebbero nemmeno a norma."

Ecco quello che voleva dire.

"Oltretutto, fece l'altro, a volerci mettere un ascensore, per aumentare il valore dell'immobile, dovrebbero tirar su una torre di vetro appoggiata contro il muro esterno."

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma il compagno lo precedette.

"Certamente. E per ottenere che cosa, poi? Che in caso di incendio l'ascensore guai a pensarci..."

"Esatto!"

"... mentre le scale, d'altro canto, le scale sarebbero subito invase dal fumo. Bella scoperta davvero!"

"Niente. Comunque la si guardi: è un disastro."

I due si fecero una lunga risata. Troppo lunga per essere sincera. Era evidente quanto fossero a disagio.

Sulle loro spalle gravava una delicata missione diplomatica. Il capomastro si era personalmente raccomandato che tutto filasse liscio.

"Nessuna sbavatura, intesi? Che non si dica che non ci sappiamo fare. Mi raccomando!"

Il capitano Liszinski era sempre stato un personaggio amato e rispettato. Sposando la figlia maggiore degli Schäfer, era entrato a far parte di una delle famiglie più importanti e prestigiose della città. Tutto, nella loro cittadina, era in qualche modo debitore agli Schäfer. Per il lavoro, per un favore, per un'amicizia da portare come un segno di distinzione. Il Galletto Rosso che svettava sul blasone e in cima alla Raffineria di olio di colza, era la cifra di una segreta fratellanza. Lo si stampigliava sui boccali di birra. Gli uomini lo portavano sulle falde del cappello. Le fanciulle, sui nastri, durante le feste, come a vantare la città da cui provenivano.

E proprio dalla Raffineria lo stesso Liszinski era partito. Amministratore inflessibile, ne aveva risollevato, in pochi anni, le finanze. Accolto a braccia aperte dalla famiglia, riconosciuto come un salvatore, era diventato il genero prediletto. Poi il successore designato. Prima dei quarant'anni aveva dato al casato due figli maschi, così simili al nonno paterno da fargli luccicare gli occhi di gioia. Solo il giusto cognome mancava per rendere la soddisfazione completa. Ma chissà che anche per quello non si potesse escogitare qualcosa.

L'apoteosi, Liszinski la raggiunse con la Guerra. Arruolato come sottufficiale, pescò la carta di una notte del destino durante la quale difese, si può dire col proprio corpo, l'intera città dall'attacco dei nemici. Successe nella fase più buia dello scontro, quando i combattimenti erano arrivati a lambire la città. Mancava solo l'ultima cinta di monti prima che i nemici dilagassero nella piana sotto ai bastioni e fin dentro le mura. Fu a quel punto che Liszinski, compì la sua Grande Azione. E che, da notabile, diventò Eroe della Patria.

Fu quando, rimasto l'unico in piedi fra compagni morti o feriti, per tutta la notte fece cantare la mitragliatrice, costringendo i nemici dentro la trincea fino all'arrivo dei rinforzi. Solo lo scoppio di una granata a pochi metri di distanza riuscì ad averne la meglio, sul fare del giorno.

Da quel momento, ormai perduto in un tempo lontano, se è vero che la venerazione per l'eroe non conobbe limiti, è anche vero che il capitano Liszinski non fu più lo stesso.

"Gli è venuto un carattere... come dire... difficile, azzardò timidamente uno degli ambasciatori."

Oltre non era il caso di spingersi. Nessuno in città poteva mancare di rispetto all'eroe, al capo e patriarca. Sì, perché i suoi due figli, i Liszinski-Schäfer come venivano chiamati, erano ormai saldamente a capo della raffineria, permettendo così al padre di riposarsi. La raffineria si era espansa a tal punto da avere ormai bisogno di un nuovo stabilimento. Che però non era più chiaro dove sarebbe stato costruito.

Molte cittadine dei dintorni, pensando alle ricchezze che avrebbe comportato, si erano fatte avanti per offrire a prezzi stracciati i loro terreni, come madri che offrissero al sovrano le proprie figlie illibate.

Queste manovre preoccupavano il Consiglio Comunale. Se gli Schäfer avessero deciso di costruire altrove, la felice storia del matrimonio con la loro città si sarebbe potuta convertire, in men che non si dica, nella triste storia di una separazione.

I due arrivarono ansimando in cima alle scale. Si sorridevano per farsi coraggio. La luce che entrava dal lucernario era ritagliata in piccoli riquadri esagonali. Un consigliere fu sul punto di lodare il vetro saldato a piombo. Ma, tutto sommato, preferì concentrarsi sull'obbiettivo e lasciar perdere l'architettura.

In cima alle scale, provarono un certo imbarazzo nel trovare la porta dell'appartamento socchiusa. Era un po' come introdursi senza invito in casa d'altri. E non una casa qualunque, ma casa Schäfer!

"È permesso?"

Dall'interno non arrivò alcuna risposta. Solo un flebile lamento. I consiglieri si fecero coraggio e spinsero delicatamente la porta. Il vecchio capitano dava loro le spalle, indaffarato col bricco del caffè. Il lamento non era altro che un saluto. Anche se nessuna delle sue parole era, neanche lontanamente, comprensibile.

Deglutendo preoccupati, i due si fecero avanti.

"Che stanza luminosa! Che locali!"

"Davvero luminosissima... si vede tutta la città..."

Ma quello fu l'ultimo disperato tentativo di fingere che le bizzarrie del vecchio fossero quelle di un artista di cui si cerchi di accaparrarsi i quadri mentre è ancora vivo. Mettendosi già in partenza il cuore in pace per quando non lo sarà più. E i quadri acquisteranno valore.

"Ou aie aouuuuu ghgh tude."

Disse il capitano. I consiglieri sudarono freddo. Era anche peggio di quanto immaginassero. Uno provò a chiedere, giusto per fugare ogni dubbio:

"Come dice, prego?"

Ma fu un passo falso che mandò l'ospite su tutte le furie:

"Menauii? Amemuuuuna uoii? Aduuua?"

Sembrava davvero irritato. Tuttavia i consiglieri, invece di preoccuparsene, furono distratti dall'odore acre che permeava la stanza.

Non si capiva da dove arrivasse. Anche se i maggiori sospetti erano verso un piccolo mucchio nel centro della stanza, nascosto sotto carta di giornale. Qualcosa di voluminoso e indecifrabile, la cui sola presenza era inquietante. Probabilmente l'odore di marcio usciva proprio da lì.

Il capitano dovette accorgersi della direzione dei loro sguardi, perché bofonchiò:

"Limunit? Neiuio muna apuunaanet!"

Sulle prime tentò una risatina. Ma, irritato per l'incompetenza degli ospiti, riprese con fare irritato:

"Apuunaanet tillo!"

L'unico modo per uscirne, pensò uno dei consiglieri, era quello di far finta di nulla e concludere al più presto l'ambasciata. Per cui fece cenno al collega di estrarre l'involto dalla borsa, si schiarì la voce, e incurante di tutto e di tutti, cercò di proclamare:

"Ma veniamo alla ragione per cui siamo a portarle questo incomodo, Eccellenza! È con vivo piacere, è con onore e soddisfazione, che, a nome dell'intero Consiglio Comunale..."

Non fece in tempo a completare la formula che l'ospite scorse, dentro la scatola semiaperta, il luccichio della grossa medaglia che la Municipalità gli tributava, in segno di affetto, di stima, di riconoscenza...

Il capitano spalancò la bocca per la meraviglia. E senza indugio la strappò letteralmente di mano a un allibito consigliere. La portò sotto un raggio di luce che entrava dalla finestra, per vederla meglio, per farla luccicare.

Da lì in avanti il capitano Liszinski non ascoltò più nessuno. Rideva come chi abbia ritrovato, dopo anni di ricerche infruttuose, un bene preziosissimo. Rideva come un bambino, interminabilmente.

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