Lo scrigno

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"Mio figlio non è un secchione. Il mio secondo figlio, dico. Non è come il maggiore che, in un modo o nell'altro, si fa sempre apprezzare. Davide no. Davide è più uno che galleggia. Non lo vedo con questa voglia di emergere. Anche se poi, quando c'è bisogno di fare un passo avanti, allora tira fuori la grinta e diventa un leader.

Questa è un'altra differenza col primo, che sta bene da solo. Quando è in fase creativa non ce n'è per nessuno. Neanche noi genitori siamo autorizzati ad entrare nella sua stanza. Salvo che, dopo qualche giorno, ne escono di quei capolavori che sto seriamente pensando di organizzare una personale. Avrei anche in mente una persona, un critico, persona divertentissima, che anche per la Fondazione avevamo già in mente di agganciare. Così ho pensato di fare uno più uno e vedere che cosa ne può venir fuori.

Davide... Davide non si sa mai come prenderlo. Per dirne una: prima mi dice, a tutti i costi:

"Voglio fare il Liceo dai Salesiani."

Lo stesso che ho fatto io.

"Ma tuo fratello farà il Liceo artistico, preciso io."

"Contento lui."

Quest'ultima cosa, niente mi toglie dalla mente che fosse una cattiveria. Inutile, del resto, perché se alludeva ai voti, non sono quelli la cosa importante. Che, tanto, quando si parla di artisti io mi sono sempre chiesto a che cosa servano. C'è mai stato un artista che sia stato capito dai contemporanei? Non è la definizione stessa di artista quella di incompreso? Ad essere capiti sono solo i mediocri. O i ruffiani.

Ad ogni modo io gli dico va bene. Ma cosa mi viene mai in mente di aggiungere:

"Non lo devi fare solo perché l'ho fatto io, eh?"

Davide diventa tutto rosso e fa:

"Cazzo c'entra?"

Ma intanto la scuola comincia. E neanche male. Almeno fino al giorno in cui salta fuori col suo bel:

"Non ci voglio più andare."

Io e sua madre che cadiamo dal pero. Proprio non ce l'aspettavamo, capisce? E sa qual è l'unica spiegazione che abbiamo avuto?

"Perché sono una classe di sfigati."

Come se fosse così semplice. E infatti al momento gli abbiamo detto di aspettare. Di tener duro. Anche se i professori, devo dire, non mi sono piaciuti granché in questo frangente. Perché secondo me, da parte loro non lo stanno riconoscendo. Che non sarà proprio un cretino completo. E il loro mestiere non dovrebbe essere quello di capirli, di immaginare che cosa possano avere in testa questi ragazzi?

Che poi a me viene una rabbia al pensiero che stavamo andando benone. Mi ero persino detto: «Taci che stavolta non abbiamo fatto un buco nell'acqua.» Che non era una cosa scontata, visto che con Davide le cose non vanno mai per il verso giusto. Ma questa volta era diverso. C'era persino stata una festa coi genitori in cui ci aveva fatti ridere tutti quanti perché, di fronte a tutta la classe, era saltato su a dire:

"Signor Preside, vorrei fare una domanda."

"Certo: sentiamo."

Che deve sapere che la scuola è un collegio e i ragazzi rimangono lì a dormire tutta la settimana, tornano a casa solo il week-end. Che io tra l'altro trovo che sia molto meglio. Che ci vuole il suo tempo per legare con i compagni. E basta a volte pochissimo per essere messi all'angolo. Sono terribili i ragazzi in certe cose. Del resto, con la retta che paghiamo, non sto neanche a spiegarglielo. Ma, insomma, quando ne vale la pena. E in tutto questo il Davide prende la parola e fa:

"Volevo solo sapere questo: dove la trovate, per i vostri bagni, una carta igienica con così tanto potere abrasivo e così poco potere pulente? Ci svela il trucco? È per caso carta crespa?"

Non le dico la scena: i ragazzi che scoppiano a ridere, i genitori che fanno finta di non aver sentito. I professori che si guardano negli occhi l'un l'altro e non sanno se parlare o tacere, se andare o restare. Un casino.

Ma poi, a parte le pagliacciate, col passare dei mesi, quando tornava in famiglia vedo che è sempre più scontroso e più insofferente.

È stato a quel punto che sono andato a parlare con i professori. Che sono preti, dopo tutto, anche se lì mi sono fatto l'idea che, alla fine, anche i preti aiutano solo fino a dove riescono. E ho chiesto:

"Mi dia una mano, reverendo. Ci parli lei, che con noi non si confida. Che io e sua madre non riusciamo, come dire?, ad aprire lo scrigno."

Dopo una settimana mio figlio torna a casa e gli chiedo: «Ma ti ha parlato per caso don Alessandro?»

"Mmhm."

"E cosa ti ha detto?"

"Ma niente. Mi ha chiesto se mi era passata l'influenza. Che eravate preoccupati."

"Noi eravamo preoccupati?"

"Boh... Che magari mi veniva la bronchite."

Cioè, se erano queste le domande che gli faceva, ero capace anch'io di fargliele. Robe da matti: preoccupati per la bronchite! Così adesso non sappiamo bene cosa fare. Di certo non andiamo a buttar via i soldi della retta e fino a fine anno a scuola ci va di sicuro. Che anche col maggiore stiamo spendendo molto. Anche solo in materiale: non è che l'acrilico o i pennelli non costino. Ma è un altro spendere. Non che io faccia differenze, ci mancherebbe. Ma si ha sempre l'impressione che il maggiore capisca che cosa sia una parola detta al momento giusto. Invece di stare chiuso nella propria stanza a ascoltare quella musica, ha presente?, tutta insulti e volgarità. Che riempie la testa di niente. E quando cerchiamo timidamente di scambiare due parole, Davide ci accoglie sempre con i suoi piacevolissimi: «Cazzo vuoi ancora?» Capisce?

E allora a me monta un nervoso che non le sto a raccontare. E che mi passa solo quando guardo il bellissimo ritratto che gli ha fatto il maggiore. Una fotografia, dico io. Ma una fotografia di quando Davide era piccolo. E grazioso.

Ed era sempre sorridente.

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