14-Orrende tattiche di rimorchio

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"Scusa".

Fu l'unica parola che uscì dalla mia bocca prima che gli voltassi le spalle e uscissi dal bagno. Avevo bisogno di Greg.
Presi il mio cellulare e, con velocità, composi il suo numero di cellulare e lo chiamai.

"Vieni a prendermi". Dissi solo, senza lasciargli tempo di ribattere.

"Liz, possiamo parlare un attimo?". Jacob mi seguì fuori dalla sua camera da letto ed io accelerai il passo, troppo spaventata dalla sua possibile reazione.

"Ne parliamo un'altra volta, devo andare".  Risposi velocemente. Sentii una presa sul mio polso e mi voltai finalmente verso di lui, che sembrava confuso.

"Non devi andare via, Liz, parliamone e poi guardiamo un film. Ti do una mia maglietta così puoi cambiarti, io ti giuro che...".

"J, tu non hai fatto niente". Scossi la testa, guardando in basso.
"Ma ora voglio andare a casa, scusami". Mi divincolai dalla sua presa e scesi velocemente le scale, per poi chiudermi il portone alle spalle.

Fortunatamente non mi seguì, ed io sperai che Greg arrivasse il prima possibile. Sobbalzai quando sentii il portone di casa aprirsi e mi aspettai di vedere Jacob, ma in realtà fu Olly a venirmi incontro.

"Ehi". Fece un mezzo sorriso, affiancandomi. "Sai, Jake è una testa di cazzo, si potrebbe creare una serie Tv con tutte le cazzate che ha fatto". Iniziò.

"Questa volta no, Olly, non ha fatto niente". Lo difesi.

"Oh, lo so, lo so perfettamente Barbie Malibu. Da quando sta con te è come se fosse finito il divertimento, ma non nel senso brutto...". Scosse la testa. "Pensa di più al futuro, cerca di essere migliore per fare colpo su di te".

"Colpo?". Aggrottai la fronte.

"Già, se prima utilizzava le feste e il suo incredibile aspetto, con te...cerca di sembrare intelligente ed è quasi ridicolo perché vorrebbe tanto arrivare alla tua altezza, non che ci voglia molto, quanto sei? Uno e cinquanta?".

"E cinquantatré, ma stai divagando". Misi le mani avanti, reprimendo un sorriso.
"Vuoi farmi sentire in colpa per farmi tornare dentro, tra le sue braccia".

"Ci hai preso, Lizzie, era il mio obbiettivo". Fece un occhiolino.
"Sai, io sono quello simpatico, il buffone del gruppo, ma sono anche il più sveglio e so per certo che in te c'è qualcosa che non va. La storiella del panico può convincere Jake, ma con me non attacca. Diamine, che coglione! Sembra che io ti stia minacciando! Non era mia intenzione, zuccherino". Mi sorrise. "È solo un modo per dirti che ho capito che questa ragazza allegra, divertente e impulsiva è te, la vera te. Tu non sei una sociopatica con problemi di integrazione, non me la bevo". Scosse la testa.

Ero senza parole, sconvolta da ciò che mi aveva appena detto e il suono del clacson di Greg sembrò una salvezza in quel momento.

"Aspetta". Olly mi prese un braccio. "Ti ho appena dato la dimostrazione di quanto io faccia schifo a parlare, ma ad ascoltare me la cavo abbastanza bene quindi, se avessi bisogno di uno psicologo, a proposito, so che questo tipo non è un vero psicologo". Indicò Greg, seduto in macchina.

"Dicevo...se avessi bisogno di uno strizzacervelli, una spalla su cui piangere, un cane da circo...". Mi scappò una risata.
"Io ci sono". Tornò serio, fissandomi negli occhi.

Sorrisi, lasciando andare un sospiro.
"Ci vediamo, Olly".

*

Guardai la mia immagine riflessa per non so quanto tempo. Uscita dalla doccia mi ero fermata in bagno, senza asciugarmi, catturata dalla mia immagine.
Ciò che mi rendeva diversa era davanti a me, che mi urlava contro che non sarei mai stata normale neanche se mi fossi impegnata.

Guardai il mio viso, gli occhi di un azzurro spento, contornati di un tenue viola, le lentiggini sparse qua e là e le labbra screpolate. Scesi con gli occhi sul torace, diviso in due da uno spacco che partiva dal petto per fermarsi sopra l'ombelico.
La cicatrice era incolore ma in rilievo, ed oltre che sul mio corpo, era nella mia testa, dalla quale non avrei mai potuto cancellarla. Più mi guardavo e più mi chiedevo come tutto questo potesse piacere a qualcuno, come potesse piacere a Jacob, che al suo fianco aveva sempre avuto prototipi di perfezione.

Quando ero più piccola ero costretta a portare un tutore che mi tenesse fermo il torace, in modo da non fare sforzi e da non toccare la cicatrice fresca. Era bianco, e mi faceva sembrare più grande, tanto che mamma aveva dovuto comprare magliette di una taglia in più.
Tutto quel bianco, ricordo, mi rendeva triste, così papà aveva comprato dei tubetti di vernice e lo aveva dipinto con dei fiori stilizzati, con colori allegri.
Ricordo che quel giorno, mentre il tutore stava asciugando, lui mi aveva fatto la doccia e, mentre mi asciugava, si era scusato con me. In quel momento non avevo capito perché lo avesse fatto, ma ora, più mi guardavo e più lo capivo.

Anche la mamma lo aveva fatto.
Mi aveva baciata sul petto, sopra la cicatrice e mi aveva detto scusa.
Scusa per questo mondo.
Scusa se sono stata egoista, se ho scelto di farti arrivare in un posto che non ti merita. Poi aveva ripetuto ti amo, ti amo, ti amo, ti amo ancora e ancora, fino a farmi addormentare.

Non lo vedevo, non vedevo il mondo orribile di cui loro parlavano perché per me avere loro era abbastanza, era sempre stato abbastanza.
E adesso? No, ancora non lo vedo.
Il mondo non è orribile o almeno non per me, perché ciò che ho è ancora abbastanza.

Il mio cuore giocava brutti scherzi, ma un muscolo involontario non avrebbe represso ciò che, invece, era volontario.
Ciò che avevo di bello, avevo deciso, volevo amarlo, volevo amarlo fino all'ultimo.

E Jacob, con i suoi sorrisi e le sue orrende tattiche di rimorchio, stava diventando abbastanza, abbastanza da poter essere amato, almeno finché il mio cuore fosse stato in grado di battere.

Finché il cuore batteWhere stories live. Discover now