40-Due passi o poco più

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Sentiva ancora il profumo di orchidee- che contraddistingueva sua madre- addosso a lei, impregnato nei capelli biondi e spenti. C'era silenzio in quella stanza, tranne che per un rumore lieve e costante, tanti piccoli e sonori "bip" uno dietro l'altro. Non li aveva mai sentiti così veloci. Gli occhi, però, non riusciva ad aprirli, non ancora almeno. Probabilmente la luce che penetrava dalla finestra le premeva proprio in viso e costringeva i suoi occhi. Di una cosa, però, era certa: in terapia intensiva non c'erano finestre. Mise tutta se stessa per riuscire ad aprirli, e quando lo fece vide tanto bianco attorno a lei. Era il paradiso, forse? Provò a muovere la testa e, girandosi verso sinistra, scoppiò di gioia nel vedere un comodino di un lieve azzurro. Non era il paradiso, ma il soffitto dell'ospedale. Quindi lei era viva e quei batti veloci erano i suoi, erano costanti e stabili come non lo erano mai stati.

Bastò poco che la porta venne spalancata, ma lei, inchiodata al letto, non riuscì a capire chi la avesse aperta.
"La paziente è sveglia".

Sentì solo quella frase, poi la persona che era entrata corse fuori e ne entrarono almeno altre dieci. Non le distinse, i suoi occhi non vedevano ancora bene.

"Mi senti?". Udì una voce familiare e poi sentì lo schienale del suo letto sollevarsi automaticamente. Ora vedeva finalmente una figura maschile con un camice. Si ricordava di lui, era il dottor Brown, il chirurgo che la aveva operata.

"Mh mh...". Mugolò, muovendo la testa in segno affermativo.

"Adesso ti toglierò il respiratore e tu proverai a parlarmi, va bene?". Continuò l'uomo, portando poi le mani al viso di Liz e sfilando il tubo trasparente dalla sua bocca. I battiti rimasero stabili.

"Riesci a respirare?". Chiese il dottore.

"Si...". La sua voce era flebile, forse l'uomo non l'aveva neanche sentita.

"Era meglio con il tubo?". Chiese ancora.

"È...è uguale". Rispose nuovamente la ragazza. Ed era vero, per la prima volta non sentiva differenza.

"Perfetto. Vuoi dirmi il tuo nome?".

Conosceva a memoria quella procedura, dovevano verificare che stesse bene anche il suo cervello e che l'intervento non avesse recato danni agli altri organi. Prese  un po' di forza, nonostante si sentisse debole come una formica appena schiacciata dal peso di un uomo.

"Elizabeth Grace Murphy, diciassette anni, diciotto a dicembre. Mia madre si chiama Karen, mio padre Lucas e il mio fidanzato...il mio fidanzato si chiama Jacob". Disse, lasciando il medico a bocca aperta. Non aveva mai visto un paziente reagire così bene ad un trapianto di cuore.  Le sorrise, e ciò fece arricciare i baffi dell'uomo.

"So che sei molto brava a scuola, Elizabeth, vediamo se riesci a fare questo calcolo: moltiplica 120 per 130".

"15 mila e...ehm...600?".

"Esatto! 15.600". L'uomo sorrise ancora.

"Posso alzarmi?". Chiese.

"È presto, Elizabeth, sono passati solo due giorni, ma dopo un po' di riabilitazione tornerai a fare tutto ciò che facevi prima, addirittura meglio".

"Due giorni?". Chiese. "Quindi oggi è...". Natale. Non lo disse, però. I suoi occhi erano rimasti fermi su un punto della parete.

Tra tutto quel bianco candido spiccava qualcosa, qualcosa di giallo.
Era un post-it.

"Posso...".

"Cosa fa, signorina? Non può alzarsi". Il dottore le fermò le spalle e lei si arrese facilmente. Non ce l'avrebbe fatta comunque.

"Quel foglietto attaccato al muro". Disse. "Può passarmelo?".

Il dottore diede l'ordine ad una delle infermiere che lo accompagnavano, che staccò il post-it e me lo porse. Riusciva anche a leggere piuttosto chiaramente.

So che non dovresti, ma si tratta di due passi o poco più.

"Devo alzarmi, devo..., ce la faccio, giuro". Sorrise al dottore che, mosso a compassione, le porse entrambe le mani.

"Questo è un enorme strappo alla regola". Le disse l'uomo, mentre Liz si aggrappava saldamente alle braccia coperte dal camice bianco. Poggiò i piedi a terra, avvertendo il pavimento freddo. Riusciva a reggersi piuttosto bene, ma non si oppose quando il dottore continuò a tenerle le mani.

"Sono solo due passi...". Sorrise la ragazza.

Mosse il piede destro e riuscì a fare il primo, in seguito mosse il secondo. Con quei due passi era già fuori dalla porta della camera che le era stata destinata. Il corridoio era vuoto ma sentiva voci provenienti da tutte le camere. Poi i suoi occhi ricaddero sul pavimento, dove c'era un altro post-it. La stessa infermiera lo prese per lei, porgendoglielo.

Ora dovresti girarti.

Rise di gusto mentre lo faceva, ma si bloccò non appena i suoi occhi incontrarono quelli scuri di Jacob. Aveva delle leggere occhiaie e i capelli ricci scombinati, segno che non avesse dormito molto, ma era bello, bello come ogni giorno e come la prima volta. In mano reggeva un frullato alla ciliegia con un buffo ricciolo di panna in superficie.

"Hai un frullato". Osservò lei, che non poteva far altro che pensare a quanto fosse bello lui e a quanto fosse, sicuramente, indecente lei. Non le importava, però, non importava a nessuno dei due. Per lui era piccola e bella come sempre, forse un po' più magra e con i capelli meno lucenti.

"Ho un frullato". Rispose lui, alzando le spalle e non riuscendo a resistere dal sorriderle. Poi Jacob fece un passo avanti, ritrovandosi poco distante da lei.

"Volevano entrare tutti ma non ce l'hanno permesso". Disse il ragazzo.

"Tutti, chi?".

"Sam, Olly, Tanya, Debby, la squadra...".

"La squadra?".

"E mezza scuola". Concluse Jacob. "Sono tutti fuori e cercano di simulare un campo rom, abbiamo fatto il tifo per te".

"Siete rimasti qui per due giorni?". Chiese con voce piccola. Stava per commuoversi, lo sapeva bene. "Ma è Natale".

"È il nostro regalo". Alzò le spalle. Lasciò il frullato su un carrello alla sua destra e si avvicinò fino a prendere le mani di Liz. Le infermiere si allontanarono mentre i due si guardavano per un tempo che sembrò infinito.

"Jake...".

"E tu mi hai appena fatto il regalo più bello del mondo". Sorrise. "Sei qui con me". Le accarezzò il viso, spostandole i capelli lisci dagli occhi.

"Ora possiamo andare nel tuo posto preferito, in Italia". Liz si lasciò scappare una risata, coinvolgendo anche Jacob.

"Abbiamo tanto tempo".

Ed era vero. Avevano tempo, finalmente. Potevano pianificare e pianificare. Liz avrebbe preso il diploma come desiderava e sarebbe entrata in una prestigiosa università di Washington. La stessa in cui c'era la miglior squadra di football d'America.

"Tutta la vita". Disse debolmente.

"Tutta la vita".

FINE
(Nel prossimo ci sarà l'epilogo)

Finché il cuore batteWhere stories live. Discover now