36-Monopoly sulla scrivania

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Jacob parcheggiò l'auto davanti casa mia, girò la chiave per spegnere il motore e si voltò a guardarmi. Il mio cellulare segnava le 2.15 di notte, infatti le luci dentro casa erano tutte spente.

"Sali?". Chiesi sorridendogli mentre aprivo lo sportello.

"È tardi". Fece una smorfia, dedicandomi poi un mezzo sorriso.

"Ma siamo in vacanza". Sporsi il labbro inferiore, allungando un braccio per prendere la sua mano. "E a Natale siamo tutti più buoni, mio padre non ti taglierà la testa". Cercai di convincerlo.

"Non è questo il problema". Scosse la testa, iniziando a giocare con le mie dita, rigirandole tra le sue. Cercai il suo sguardo e quando finalmente i suoi occhi incontrarono i miei, sospirò.

"È che sei stata male e...".

"No". Lo interruppi.

"Si, invece, non puoi continuare a fingere che non stia succedendo nulla". Alzò di poco la voce.

"Non voglio parlare di queste cose con te". Dissi con tono fermo.

"Beh, devi farlo. Credi che non me ne accorga, Liz? Credi davvero che io non capisca quando stai male?". Chiese, lasciando andare la mia mano. Chiusi gli occhi per un attimo, calmando la tensione.

"Non devi preoccuparti di questo". Mi voltai a guardarlo, cambiando posizione sul sedile in modo da essere difronte a lui.

"Ma..".

"L'unica cosa che voglio è che tu mi stia vicino, puoi farlo?". Mi sporsi nella sua direzione e presi il suo visto tra le mani, cercando il suo sguardo. "Ti amo". Baciai le sue labbra. "Okay?".

"Okay". Gli scappò un piccolo sorriso quando lasciai piccoli e veloci baci su tutta la sua faccia. Ridacchiò, afferrando i miei gomiti e allontanandomi il necessario per guardarmi negli occhi.

E come ogni volta accese il fuoco che ardeva quando le nostre labbra si sfioravano. Lo spazio ristretto della macchina divenne uno dei posti più belli che avessi mai visto solo grazie alla sensazione che le nostre bocche unite mi regalavano. Schiusi la mia per permettere a lui di sentire il mio sapore e le nostre lingue giocarono a rincorrersi, mentre ogni tanto mordevo le sue labbra per far sì che la loro forma restasse per sempre nella mia memoria. Repressi un gemito quando le sue mani cominciarono a sfiorare i miei fianchi, causandomi innumerevoli brividi lungo la colonna vertebrale.

"È strano...". Sussurrai, staccandomi dal bacio ma lasciando che le nostre labbra si sfiorassero ancora. "Non posso salire una rampa di scale senza che mi manchi il fiato, ma quando mi baci così e dovrei essere stanca o almeno risentirne un poco, non ho mai il fiato corto". Spiegai.

Mi sorrise, facendo scorrere le sue mani lungo le mie braccia fino ad arrivare al viso, prendendolo tra esse. "Dovremmo chiamare Tanya e chiederle una spiegazione scientifica?". Chiese con un sorrisetto malizioso.

Gli tirai un pugno sul braccio, fingendomi offesa. "Ora basta con Tanya". Lo ammonii, cercando di incutergli timore con un'occhiata.

"Sembrava foste amiche, anzi, sembrava che tu fossi diventata parte del Trio Meraviglia". Mi punzecchiò, tirando un piccolo morso alla punta del mio naso.

"Si, ma tu restane fuori, non voglio condividerti con loro". Sfiorai ancora le nostre labbra insieme, facendo scorrere le mani lungo la camicia nera fino a fermarle sulle sue gambe.

"È ancora valido l'invito?". Chiese ad un tratto.

"Se ti va di stare in un letto con migliaia di cavi collegati si, è ancora valido". Risposi.

"Ho sempre desiderato di dormire su un letto da ospedale". Disse ironicamente.
Ricambiai il suo sorriso, avvicinandomi ulteriormente e mordicchiando il suo labbro inferiore.

"Non ho parlato di dormire". Sussurrai prima di scendere in fretta dall'auto. Lui mi raggiunse immediatamente.

"Vuoi giocare a Monopoly?". Chiese mentre chiudeva la sua portiera.

"Sai che intendo". Gli rivolsi uno sguardo che nella mia testa doveva sembrare seducente.

"Ah, certo!". Esclamò. "Come ho fatto a non capirlo subito!". Si portò una mano sulla fronte. "Il gioco dell'oca!".

Alzai gli occhi al cielo mentre lui scoppiò a ridere, fiero della sua battuta. Tirai fuori le chiavi dalla borsetta ed aprii il portone, intimando a Jacob di fare silenzio.
La casa era completamente buia e silenziosa, quindi premetti il dito sull'interruttore della luce, ma Jacob mi colse di sorpresa facendomi voltare nuovamente verso la porta e premette le sue labbra sulle mie. Ricambiai il bacio per qualche secondo, avvolgendo le sue spalle con le braccia.

"Liz, sei tu?". Sobbalzai, staccandomi immediatamente dal mio ragazzo. La voce di mia madre era lontana, come se provenisse dalla sua camera da letto.
Portai un dito sulle labbra per far capire a Jacob di stare zitto.

"Si, mamma". Urlai.

"Stai bene? Vuoi che scenda a prepararti una tisana?".

"No!". Urlai di rimando, forse troppo forte. "Non preoccuparti, sono molto stanca quindi andrò a dormire".

"Come vuoi, buonanotte tesoro".

"Notte mamma".

Tirai un sospiro di sollievo e con me anche Jacob. D'altronde sapevo che mia madre non sarebbe riuscita a dormire se prima non fossi tornata a casa, era da lei.
Presi Jacob per mano e salimmo l'unica rampa di scale che portava al piano superiore. La porta della camera dei miei era chiusa, così proseguimmo senza intoppi fino alla mia stanza e, una volta dentro, chiusi la porta a chiave.

"Scusa il disordine". Dissi imbarazzata, mentre Jacob faceva vagare i suoi occhi sulle pareti color lavanda, quasi interamente ricoperte da foto, e poi li soffermò sul mio letto e il respiratore artificiale affianco ad esso.

"Mi piace". Disse, avanzando fino a una parete e allungando una mano per poter sfiorare una fotografia che ritraeva me a quattro anni e mio padre, entrambi con un naso rosso da clown.

Lo raggiunsi cautamente, prendendogli una mano per farlo voltare nella mia direzione, e poi portai le mani sul suo collo a sciogliere i primi bottoni della sua camicia, accarezzando man mano la pelle scoperta. Jacob chiuse gli occhi, rilassandosi a quel contatto mentre io sbottonavo la parte finale della camicia nera e lasciavo vagare i palmi sul suo addome tonico, fino alle spalle.

Capendo, Jacob la sfilò e la lasciò cadere sul pavimento, per poi poggiare una mano sulla mia schiena ed afferrare la zip del vestito, tirandola giù con estrema lentezza. Questo scivolò lungo le mie gambe, lasciandomi coperta solo dell'intimo azzurro. Le sue mani mi sollevarono dal pavimento ed io avvolsi le gambe attorno a lui mentre si dirigeva verso il letto.

"Jake". Lo fermai. "Non credo che sia adatto". Ridacchiai, guardando i numerosi cavi e i vari pulsanti che servivano ad alzare o abbassare il materasso.

"Scrivania?". Chiese.

"Scrivania".

SPAZIO AUTRICE
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