Capitolo 3

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Il giorno della partenza arrivò. Mentre Noah entrava in macchina con le cuffie ad alto volume nelle orecchie ripensò alla sera prima.
Per l'ultima sera in città, il gruppo organizzò un'uscita al parco ma, questa volta, fu tutto ambientato in una zona tranquilla.
Erano gli unici quella sera, il che offriva molte possibilità per Noah di relazionarsi con chi di dovere.
Riuscì a sbloccarsi sorprendendo anche sé stesso. Come ultima sera, si disse, il suo proposito era stringere almeno una amicizia, e così fece.
Conobbe una ragazzina, Claire, che lo fermò per una sigaretta. I due iniziarono a parlare di tutto e in pochissimo tempo Noah capì che non era lui ad essere sbagliato e nemmeno il mondo a girare al contrario.
"Il mondo cambia, privarti di qualcosa non ti porta a nulla, e tu sì che ti privavi di tante cose." Questo era quello che si ripeteva in mente.
Aveva sempre pensato di essere sbagliato quando in realtà di sbagliato non c'era proprio niente. Se soltanto avesse fatto come si era comportato quella sera, avrebbe avuto una vita ben più che diversa.
Una volta conclusa la conversazione con Claire, Noah raggiunse gli altri. Non avrebbe mai pensato che Daniel gli avesse fatto una sorpresa: una birra.

<<Ora la bevi, e sarai una di noi.>> Disse ridendo.

Noah sorrise, si guardò attorno e velocemente buttò giù qualche sorso di birra. Tutti iniziarono ad urlare e a ridere, come se avesse fatto chissà cosa, ma era proprio quella la cosa che stupì Noah, la semplicità nello stupire le persone.
Lo avevano accettato per quello che era e lui non poteva che esserne felice. Tra un sorso e l'altro ebbe modo di parlare velocemente con Anthony e con Joseph, che se ne andarono prima per chiudere un locale. Si ritrovò con Alexia e Julienne e, come al solito, Daniel non tardò ad infastidirle. Fu una bella serata tutto sommato.

Quando la macchina si avviò, Noah fece partire la playlist. Il viaggio era lungo circa un'ora e voleva soltanto chiudere gli occhi e svegliarsi lì.
La mano della madre lo svegliò all'improvviso e, quando Noah aprì gli occhi, ecco che si trovava davanti al "Moorish Village". Si affacciò al finestrino e respirò la freschissima aria di bosco che tanto gli era mancata. Iniziò ad osservare le strade e le siepi, come se fosse lì per la prima volta, quando in verità reputava più casa sua quel posto che non la sua vera ed effettiva casa. Portò gli occhi al cielo e guardò le varie rondini che volavano da un albero all'altro. Era finalmente a casa, nel posto in cui poteva essere sé stesso.
Il Moorish Village non era importante per lui soltanto per le persone che aveva conosciuto, ma per le esperienze che aveva vissuto.
Quando iniziò a capire che qualcosa non andava, che provava troppo affetto, più del normale, verso il suo migliore amico, fu proprio lì che lui rivelò a tutti com'era davvero. Fiumi di lacrime furono versate lungo quelle strade, quelle siepi, quei posti, ma dopo ogni lacrima c'era sempre una carezza, un abbraccio di conforto, una zona sicura che lo aspettava. Fu accettato senza alcun tipo di problema, veniva reputato "normale", camminava per strada senza la paura di essere picchiato, tutti lo salutavano e parlavano con lui di tutto. Veniva definito lo "psicologo del posto" perché era solito dare consigli a tutti, anche d'amore se era necessario.
Ogni volta che ne dava sentiva un vuoto dentro di sé.
"Siete così fortunati ad avere qualcosa da raccontare" si diceva.
"Come sono contento che almeno voi amiate una persona che vi ricambia."
"Quanto vorrei capitasse a me."

Sistemò la roba e salutò i genitori.

<<Non combinare guai!>> Si fece ripromettere la madre.

<<Solo perché non ci siamo non vuol dire che non dovrai prenderti cura della casa.>> Disse il padre.

<<Sarà il quinto anno che vengo da solo, ancora con questa manfrina?>>

<<Non si è mai troppo prudenti.>>

<<Fai il bravo.>> Concluse la madre per poi chiudersi la porta alle spalle.

Come un tuono all'improvvisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora