52 || 𝐒𝐔𝐋𝐋𝐀 𝐏𝐎𝐑𝐓𝐀

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Arrivai a casa dei ragazzi con il bus, quella giornata cupa di Aprile

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Arrivai a casa dei ragazzi con il bus, quella giornata cupa di Aprile. Judie ci avrebbe raggiunti direttamente a casa di Debby, mentre io avrei dovuto affrontare la discussione con Harry.

Non ne ero così spaventata, o almeno non sarei partita in quarta. Così stetti attenta a non inciampare nelle piccole pietre del vialetto di casa, i tacchi incominciavano già a dare problemi.

Aspettai pazientemente fuori la porta una volta aver bussato, sperando che fosse proprio Harry ad aprire. Pensavo e ripensavo a cosa avrei dovuto dire, sicuramente avrebbe dovuto darmi delle spiegazioni -come suo solito-. Incrociai le braccia al petto per avvolgere ancora di più il cappotto nero che arrivava sopra le ginocchia, non mi aspettavo facesse tutto quel freddo. Mi dondolai sulle gambe fino a quando la porta non si spalancò di un colpo, costringendomi ad alzare gli occhi dai miei tacchi.

«Annabel» Louis mormorò con il fiato corto, mentre i suoi occhi vagavano su di me confusi. È vero, non avevo avvisato nessuno, ma non ne sentii il bisogno.

«Scusami il disturbo, Louis» inclinai la testa «vorrei solo parlare un attimo con Harry» e, quando pronunciai questa frase, l'espressione di Louis cambiò. Diventò più preoccupato, tanto da fare un passo indietro e rilassare i suoi muscoli. Si leccò le labbra prima di parlare con tono pacato, la pietà gli si leggeva in faccia.

«Ma Harry non è tornato stanotte...» e la sua voce si spezzò ad un certo punto, o almeno così mi parse. In un certo senso sembrava quasi che Louis fosse deluso del fatto che io non sapessi nulla, ma come avrei potuto saperlo. Una parte di me si ruppe ancora una volta, Harry dunque era rimasto a casa di Debby. D'altronde, non c'era altra spiegazione. Annuii distrattamente e in preda allo shock, non riuscivo a captare e catalogare i miei sentimenti... In realtà quasi non li riconoscevo. Mi sembrava tutto uno strano vortice di emozioni che mi travolgeva senza riuscire a farmi uscire da esso. Mi teneva stretta al centro, mentre tutto intorno continuava soltanto a peggiorare.

«Puoi venire con me, se vuoi» annunciò dopo il ragazzo, cercando di forzare un sorriso. Così finsi anche io, alla fine era tutto quello che facevo da quando Harry aveva deciso ancora una volta di andare via senza dire niente. Sembrava quasi che la mia vita si ripetesse, come se gli avvenimenti fossero tutti uguali. Come se tutti mi volessero abbandonare. Mio padre. Mia madre. Harry.

Entrai in casa, i ragazzi correvano da una parte all'altra per prepararsi mentre io tenevo le mani incrociate e restavo in un angolo, sentendomi completamente fuori luogo.

«Ehy Annabel, vuoi una spremuta?» Niall urlò mentre correva verso la cucina. Risi a questa proposta, un po' anche per il modo buffo di correre del ragazzo.

«No, grazie Niall, ho già fatto colazione» sorrisi, seguendolo con lo sguardo. Lui fece spallucce, dichiarando che fossi fin troppo magra per crederci.

«Sono pronto, andiamo?» Louis dichiarò dopo aver sceso l'ultimo scalino che portava al piano di sopra. Annuii con forza, salutando poi tutti gli altri e annunciando che ci saremmo incontrati a casa di Debby, dov'era stato allestito un banchetto nel giardino.

«Cosa gli dirai?» Louis mormorò tenendomi la mano che avevo stretto intorno al suo braccio, in modo da tenermi salda. La scelta dei tacchi a spillo non era stata delle migliori, il prato ed il terreno umido faceva sprofondare le mie scarpe, rendendomi instabile.

«Non lo so» sospirai scocciata «credo semplicemente che gli dirò quello che penso, senza giri di parole». In realtà quella domanda di Louis mi colse alla sprovvista: nonostante avessi passato tutta la notte a girarmi e rigirarmi nel letto, quando si trattava di fare i conti davvero con la realtà mi sentivo persa. Avrei voluto dire tante cose, ma non riuscivo a mettere insieme le idee.

Quando però lo vidi in lontananza, con un completo nero che non avevo mai visto nel suo armadio né su di lui. Aggrottai le sopracciglia, uno dei tanti eventi strani che quel giorno stavano accadendo. Lo lasciai stare, quasi lo ignorai, e decisi di evitarlo anche quando i suoi occhi caddero su di me.

«Vieni, andiamo a sederci» mormorai al ragazzo che mi stava sostenendo. In fin dei conti, Louis mi sosteneva sempre. Non solo fisicamente, era lì quando qualcosa di brutto accadeva nella mia vita, quando dovevo avere un consiglio... eppure ci conoscevamo da così poco. Sin dal primo momento ci fu un legame forte con Louis, che non riuscivo a spiegare a parole.

Così mi girai verso di lui e mi venne quasi spontaneo ringraziarlo, offrendogli uno dei miei sorrisi migliori. Le guance di Louis si colorarono leggermente di rosso quando abbassò la testa e ridacchiò un 'non devi nemmeno dirlo', mentre invece avrei dovuto davvero... perché lo meritava. In quel momento la cerimonia ebbe inizio e non potei fare a meno di lanciare un'occhiata ai posti in prima fila, dove Debby, nel pieno dello sconforto, poggiava la testa sulla spalla di Harry e lui, di tutta risposta, poggiava la sua su quella della ragazza. Deglutii con forza, sbattendo le palpebre velocemente per non farle riempire di lacrime.

Come poteva comportarsi in un modo del genere? Ignorandomi del tutto, nonostante sapessi io quanto potessi essere preoccupata. Arrivati a quel punto, pareva che a lui non importasse più niente delle altre persone, di me. C'era solo Debby ed il suo dolore, che non volevo invalidare in alcun modo ma che portava Harry ad allontanarsi senza motivo da me.
Lasciai correre questi pensieri che sicuramente non avrebbero risolto la situazione, e mi concentrai sulla funzione funebre. 

«Tu cosa vuoi?» Louis domandò davanti al tavolo imbandito che avevano allestito in giardino. Pressai le labbra, guardando attentamente cosa prendere.

«Solo un po' di Coca Cola, non voglio altro» mi limitai a dire. Mi voltai per qualche secondo alla mia destra, Harry aveva le mani nelle tasche mentre mi guardava da lontano. Così sospirai con forza, prima di avvicinarmi di più a Louis.

«Vado a parlargli, ci vediamo dopo» tagliai corto, sapendo benissimo a cosa mi stessi riferendo. Così il ragazzo mi fece solo un accenno di assenso con il capo, prima che io iniziassi a camminare verso il riccio. Feci mente locale, cercai di mettere insieme le idee, ma tutto mi sembrava sempre più confuso e la rabbia che stava crescendo man mano in me non aiutava la situazione.

Lo guardai negli occhi quando arrivai, le mie labbra erano pressate dalla rabbia, non sarei caduta sotto quello sguardo da cane bastonato.

𝐋𝐎𝐒𝐈𝐍𝐆 𝐆𝐀𝐌𝐄 || 𝐇.𝐒.Where stories live. Discover now