«Uno... due... tre...» sussurra Axel seguendo il rumore di ciò che presumo sia un'infiltrazione d'acqua: in modo ritmico e fastidioso, qualcosa gocciola dal soffitto su un piatto di metallo in un angolo della cella – umidità prodotta dai sistemi di areazione probabilmente.

«La smetti di infastidirmi più di quelle gocce? Sto cercando di dormire!» sibila Aesta.

«Quattro... cinque... sei...»

«Axel!»

«Sette... otto... nove...» Axel fa una pausa, poi sussurra anche il dieci. «Ogni dieci gocce rallenta».

«Complimenti per l'importantissima scoperta scientifica che ci salverà quest'oggi» gli dico mettendomi a sedere. La coperta mi scivola sulle gambe e subito rabbrividisco: fa freddo in queste cavità sotterranee adibite a celle.

«Non riesco a dormire, il pavimento è scomodo» dice Axel sbadigliando. «Qualcosa devo fare per passare il tempo e meglio che dar noia a voi due cosa c'è?»

«Una tazza di tè».

«Caffè, Vivi, caffè» rispondono in coro Axel e Aesta. Mi passo una mano sul volto: non cederò all'Alleanza come non cederò a quei due.

«Non sentite... qualcuno?» chiede all'improvviso Aesta. Rimaniamo in silenzio, tenendo l'orecchio,mentre nel buio totale della cella riesco a malapena a distinguere le loro figure: effettivamente sembra che i passi di qualcuno si stiano avvicinando. Guardie impegnate nel giro di ronda, probabilmente. La luce di una torcia si avvicina sempre di più, poi all'improvviso mi colpisce in pieno, costringendomi a riparare gli occhi con il braccio.

«Comandante Vivi Davith?» chiede una delle guardie.

«Sono io» rispondo alzandomi.

«Brunnos ha richiesto la vostra presenza».

«Fa' attenzione» sussurra Axel prima di iniziare a litigare con Aesta sulla mia coperta – quei due sarebbero capaci di scannarsi a vicenda.

Abbasso lo sguardo quando, di nuovo, le manette si chiudono intorno ai miei polsi: odio sentirmi addosso gli sguardi preoccupati di tutti, svegli perché dormire quaggiù è impossibile.

L'Ogril brilla poco sotto la luce: prima non l'avevo notato, ma se le hanno costruite con un materiale conduttore, basta davvero poco a mettere fine a una qualsiasi ribellione e forse quegli strumenti che portano alla cintura vicino alle pistole servono a dare una scarica elettrica. Li seguo in silenzio, ignorando il cuore che batte all'impazzata, fino a che non arriviamo fuori: non c'è niente qui, se non un'astronave posata a terra, con i motori spenti e le luci accese. Sopra di noi le stelle brillano limpide e, di tanto in tanto, una scia luminosa squarcia il cielo. Stelle cadenti.

Nessuno me l'ha detto, ma ormai ne ho la certezza che questo sia il luogo che ho lasciato wakin fa.

«Lasciateci soli».

Le guardie si allontanano, parlottano fra sé. Non ho il coraggio di alzare lo sguardo, di guardare il responsabile della mia presenza qui.

«Non credi sia ironico?»

«Cosa, il fatto che l'ultima volta che io e te ci siamo visti qui io non avessi la divisa della Federazione, non avessi queste manette ai polsi e, soprattutto, che la mia astronave fosse solo un'idea e non un relitto schiantato a poca distanza da qui?»

«Intendevo che la Starfall si sia schiantata su un pianeta in cui le stelle cadenti sono molto frequenti».

«Va' a quel paese, Brunnos».

Si avvicina, fermandosi a poca distanza da me; alza un braccio – non avrei dovuto rispondergli in quel modo –, ma lo schiaffo che mi aspettavo non arriva. Mi costringe a guardarlo negli occhi, a vederlo trionfante.

Ai confini del vuoto 1 - Progetto MinervaWhere stories live. Discover now