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Ho passato ore a fissare il muro, ad aspettare che l'ora maledetta arrivi. Non mi sarei mai alzata se non fosse stato per l'arrivo di Axel che adesso continua a camminare avanti e indietro, imprecando contro di lui sotto voce.

«Dovresti andare» mi dice fermandosi all'improvviso. Guardo le mani abbandonate sulle cosce, annuendo piano con la testa. «È normale se hai paura: non sappiamo le sue intenzioni, non dovresti... devi fidarti di lui di nuovo. Ti ha distrutto più lui che tutta la guerra, te ne sei resa conto, vero?»

Annuisco di nuovo, alzandomi poi con un sospiro; afferro il cappotto, indossandolo sopra il vestito. «Ti farò sapere, ho il comunicatore con me».

«Avvertimi quando torni».

«Promesso».

Esco fuori con un nodo alla gola: non riesco a stare tranquilla, non riesco a pensare che tutto possa andare bene. Ho paura, stavolta per davvero. Vorrei non aver dato retta a Reesha e Axel, vorrei aver preso, di nuovo, la strada che intendevo, senza deviare.

«Vivi».

Mi fermo: brucia sulla pelle sentire la sua voce chiamare il mio nome, riapre tutte quelle ferite che secondo i medici sono cicatrizzate.

«Non farti illusioni» gli sibilo quando lo sento arrivare vicino, quando mi decido ad alzare lo sguardo.

«Non ho intenzione di farti del male, credimi. Mi odi, non è vero?»

«Sì». Non lo so.

«Immaginavo. Voglio solo chiederti scusa».

«Puoi farlo anche adesso, così evito di perdere tempo che non ti meriteresti».

«Credo che quello che ho intenzione di mostrarti non sia tempo che non mi meriterei» risponde avviandosi lungo il vialetto con le mani nelle tasche dei pantaloni. «Allora, vieni?»

«Dove?»

«A cena?»

«Se è solo un ristorante quel che devi mostrarmi, puoi anche evitare».

«Te lo farò vedere solo se ti smuovi da lì e vieni a cena con me». Abbasso lo sguardo, raggiungendolo con passi svelti: ancora una volta, la curiosità sarà la mia rovina.

Come abbiamo trascorso in silenzio la cena, così avviene durante la passeggiata in cui mi ha trascinato – voglio solo sperare che non sia solo una sua trovata per costringermi a passare del tempo insieme. Sento i suoi fissi su di me; non reagisco quando appoggia una mano sul fianco, avvicinandomi a lui.

Ricaccio indietro le lacrime a forza, non voglio ricordarmi quanto mi ha illuso negli wakin, ma è difficile non pensare alle sue parole su Minerva, a quanto mi abbiano ferita quando mi stringe a sé. Non ho la forza di inventarmi una scusa, fuggire lontano da Erix e rintanarmi, di nuovo, in camera: non mi sento rassicurata dalla stretta, mi sento in trappola.

«Cos'è che cercavi dopo la battaglia?» esordisce dal nulla, prendendomi alla sprovvista. Sussulto: non volevo che lo sapesse, mi bastava che Axel avesse scoprire le mie insicurezze venute nuovamente a galla su questo pianeta.

«Come lo sai?» gli chiedo con un filo di voce, trattenendo il fiato. Non so cosa aspettarmi come risposta, ma qualsiasi essa sia so già che non mi piacerà.

«Mia madre» risponde abbassando lo sguardo. «Abbiamo parlato tanto... ha capito più cose lei vedendoti per pochi istanti che io in dodici wakin».

«Perché dovrei fidarmi di te dopo tutto quello che mi hai fatto?»

«Sappiamo entrambi che non è l'odio ad unirci. Ho ascoltato i discordi di Axel e Aesta: tu sei confusa su di me, l'Orlan mi ha tirato più di uno schiaffo da quanto ti ho tradito su Minerva dicendomi che era meglio se mettevo ordine a quel che penso di te. Non sono stato in grado di ucciderti come mi aveva detto di fare, ha capito che io provassi qualcosa per te».

Ai confini del vuoto 1 - Progetto MinervaWhere stories live. Discover now