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Mi sveglio in un bagno di sudore, con il respiro affannato. Appoggio le mani ai lati del corpo, c'è il materasso, non il freddo pavimento.

Non c'è nessun altro a parte me nella stanza.

Non c'è nessuno. Nessuno.

Continuo a ripetermelo, ma non riesco a convincermi.

Non faccio altro che sognare quei momenti su Minerva da quando siamo tornati, ma quei ricordi vanno a sovrapporsi a tutti gli altri che ho di Brunnos. Vorrei dimenticarlo, ma più cerco di farlo, più lui mi torna in mente.

Mi metto a sedere, guardo la sveglia: è la nuova alba è lontana, ma non riuscirò a dormire di nuovo.

Scosto la coperta, rabbrividendo appena, poi appoggio i piedi a terra, passandomi una mano tra i capelli; afferro il cappotto, gettandomelo sulle spalle, infilo gli stivali al volo, prendo una torcia e poi corro fuori dalla stanza. I miei passi rimbombano nel corridoio, debolmente illuminato dalla lampada che ho in mano.

Non ho una meta, non so dove andare.

Dormire mi procura solo dolore, odio il fatto che sia così necessario; ne farei a meno in questo frangente. Imbocco la scala che porta verso il tetto, sento le gambe tremare a ogni passo sui gradini di metallo che non nascondono il buio della notte non appena si abbarbicano sul muro esterno. Stringo il cappotto con una mano, tenendo la torcia con l'altra: non oso guardare in basso, non voglio vedere il vuoto che sembra inghiottirmi.

Tiro un sospiro di sollievo quando arrivo in cima, sul tetto, quando finalmente è l'aria fresca a circondarmi e non la sensazione di oppressione della coperta: le luci di Nova hanno preso il posto delle costellazioni che non riesco a vedere alzando gli occhi al cielo. L'illuminazione delle strade, bianca e pallida, si mischia a quella dei cartelloni pubblicitari che avvolgono alcuni piani dei palazzi più alti: sono colorate, ma non mi appaiono altro che come macchie colorate adesso che non ho preso le lenti. Ho evitato il centro, ho evitato la vita che porta con sé: i ricordi di quando la guerra era solo una notizia che sentivo lontana si accavallano al presente. Odio questo pianeta, non vorrei stare qui.

Mi siedo con la schiena appoggiata al palo al centro del tetto, sopra a cui lampeggia ritmicamente una lucina rossa, un segnale di avvertimento per le astronavi private di passaggio. Appoggio la testa contro il metallo, guardando in alto: le luci creano un alone luminoso che mi impedisce di sprofondare nel buio, nell'oblio, nel vuoto.

Non riesco a sentirmi a casa nella confusione di Nova, nelle sue strada sempre trafficate nonostante i segni dell'ultima battaglia: sembra che gli abitanti non facciano caso alle ferite negli edifici, ai detriti che si trovano di tanto in tanto. Non sono mai stati toccati davvero dal conflitto, al massimo li ha sfiorati. Non hanno reagito come pensavo alla presa di comando della Federazione: nessuna reazione da parte loro; forse pensano che tutto questo non li riguardi da vicino.

Lascio scivolare le gambe in avanti, appoggiando le mani ai lati del corpo. Dovremmo creare un'altra flotta, ma dove potremmo trovare delle astronavi in così poco tempo? Il re non era qui, non sappiamo se sia fuggito prima della battaglia o se comandi da un luogo diverso dall'Atlantis.

Mi volto verso sinistra, sentendo dei passi provenire dalle scalette. Afferro la torcia, puntandola verso quella direzione: c'è una donna, si protegge il volto dal fascio di luce e non riesco a capire chi sia.

«Non ho intenzione di farti del male».

Annuisco, abbasso la torcia e mi alzo in piedi; lei si avvicina: riesco solo a distinguere i capelli scuri che le ricadono sulle spalle e la forma, ma non il colore, dell'abito che indossa; lo tiene sollevato con una mano, non deve essere abituata a venire da queste parti.

Ai confini del vuoto 1 - Progetto MinervaWhere stories live. Discover now