14. I nemici

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«Basta!» esplose Tomas. Si piegò sulle ginocchia, col fiato corto e il volto rosso e sudato, poi le gambe gli cedettero e Shani non arrivò in tempo per sorreggerlo. Cadde a terra e si voltò su un fianco, in posizione fetale.

«Tomas, dobbiamo continuare, qua non è sicuro...» Hans tentennò. Teneva ancora una mano sulla schiena di Eva, forse perché pensava sarebbe stata lei a rimanere indietro. La ragazza in realtà si era rivelata una buona corritrice, al di là di ogni possibile pronostico.

«Non ce la faccio, professore, continuate senza di me. Le mie vecchie gambe in titanio non vanno oltre.» Il tono era scherzoso, ma due lacrime di dolore gli sfuggirono dagli occhi. Hans fece per aiutarlo a rialzarsi ma il ragazzo con un cenno del braccio lo intimò di lasciarlo perdere.

«Potrebbero esserci ancora alle calcagna!» si lamentò Kuran, che saltava da un piede all'altro, pallido in volto, e continuava a guardare oltre le loro schiene come se da un momento all'altro potessero tornare a farsi sentire gli spari.

«Ti ricordo che questa è stata una tua fottutissima idea! Andiamo in città a cercare un'antenna! Ma non vedi che sta male? E quanto credi che l'Umana possa ancora correre? Dovremmo trovare un luogo sicuro in cui nasconderci» Shani, con estrema sorpresa di tutti, prese le difese di Tomas.

Rimasero a guardarsi l'un l'altro, in silenzio.

La foresta sembrava più rumorosa del solito. Si avvertivano battiti d'ali, scricchiolii continui, il fruscio delle foglie, qualche ramo che cedeva. I cuori dei ragazzi perdevano un colpo a ogni rumore insolito che avvertivano.

«Dov'è Ulrik?» chiese infine Eva.

Shani le lanciò un'occhiataccia come se la volesse uccidere, una volta per tutte. Nessuno le rispose.

La ragazzina trattenne il fiato. Dentro di sé pregò in silenzio.

Ti prego, non Ulrik, ti prego, non lui...

Quasi la foresta l'avesse ascoltata, dopo qualche minuto un rumore di passi divenne sempre più udibile e in pochi secondi la sagoma del giovane uomo, alta e statuaria, comparve tra la vegetazione.

Per lo spavento a Kuran partì un colpo.

Ulrik si fermò appena in tempo per evitare il proiettile, si avvicinò al compagno sbuffando, gli strappò l'arma dalle mani e se la legò alla cintura.

Aveva la maglietta fradicia di sudore, gli occhi iniettati di sangue e un ciuffo ribelle gli copriva la fronte, ma era sano e salvo.

«Scusa» balbettò il pilota. Sprofondò a terra, nascose la testa tra le mani e prese a singhiozzare come un bambino.

Ognuno di loro abbassò le difese: Shani si accovacciò vicino a Tomas, iniziò ad accarezzargli la schiena con gli occhi persi nel vuoto. Hans si appoggiò a un tronco ed Eva si sedette a gambe incrociate a fianco a lui.

Rimase dritto e imperturbabile solo il capitano, col suo respiro pesante e l'odore acre di polvere da sparo misto a sudore.

«Sei ferito.» Constatò Ulrik, guardando Hans. Era vero, nessuno di loro se n'era accorto ma il ragazzo aveva un buco nell'avambraccio sinistro. Era stato colpito ma l'arto era in Titanio. Per questo motivo, e anche un po' per merito dell'adrenalina, non si era accorto di nulla. Non usciva sangue e non era instabile, faceva solo una terribile impressione. Hans cercò di nasconderlo sistemandosi la giacca, ma anche quella era forata e lasciava intravedere il passaggio del proiettile.

«Non è un problema, basterebbe una macchina e tornerei come nuovo. Non fa male e al momento non ci si può fare nulla» decretò mesto.

«Una macchina...» Kuran scosse la testa. Non si trovavano più sull'arca.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraOnde histórias criam vida. Descubra agora