46. Speranza

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Ulrik era piegato sulle ginocchia, in mezzo agli alberi, ben lontano dal recinto del villaggio.

Stava vomitando l'anima.

La schiena era scossa da incessanti conati, mentre gli occhi lacrimavano e la pelle grondava di sudore freddo.

L'avevano aperta.

Quell'immagine non se la sarebbe mai più tolta dagli occhi. Sarebbe rimasta impressa in lui, come gli era rimasto impresso il corpo sottile di Maisie, vestita di bianco, cosparso di sangue...



Il cielo cominciava a farsi meno buio, mentre oltre le montagne alcuni raggi coraggiosi facevano lentamente capolino.

Aniruddha aveva steso Eva su un lungo tavolo rivestito da un telo di cotone. Alcune aiutanti avevano iniziato a far bollire grosse pentole d'acqua, in modo da poter sterilizzare gli strumenti.

Avevano effettuato sull'Umana una rianimazione cardiopolmonare: L'Anziano si era occupato del massaggio cardiaco, mentre Hans aveva fatto da assistente alternando la sequenza delle trenta compressioni toraciche con la ventilazione bocca a bocca. Quando il cuore era tornato a battere, l'avevano attaccata a un ventilatore artificiale.

A quel punto, le era stata somministrato una massiccia dose di morfina.

Il professore aveva preso alcuni strumenti, li aveva disinfettati e consegnati all'Anziano, che nel frattempo, dopo essersi lavato le mani aveva indossato dei guanti di gomma rattoppati in più punti, per adeguarsi alla forma atipica delle sue mani.

L'Anziano aveva girato su un lato la ragazza e aveva inciso la sua pelle, nella parte superiore sinistra dell'addome, per poi divaricarla, mentre Hans drenava il sangue. Una volta isolata dai vasi, la milza era stata tagliata ed estratta con estrema cautela, per non ledere gli organi aderenti. Terminata l'estrazione, una donna del villaggio aveva richiuso l'addome con dei punti di sutura.

L'organo, nel frattempo, era stato gettato in un cestino. Era color porpora, gonfio, molle e grondante di sangue. Dopo alcune ore aveva cambiato colore, virando verso il grigio e aveva iniziato a emanare un odore acre e pungente.

Era stato uno spettacolo agghiacciante, per i giovani Titans. Shani aveva resistito, chiudendosi gli occhi, durante i punti cruciali. Ulrik, invece, era uscito quasi subito.

Nessuno l'aveva più cercato.



Il sole aveva già fatto capolino, quando la splenectomia si era conclusa. Il cielo era di un azzurro spiazzante. Nessuna nuvola in cielo, solo una leggera brezza che increspava le fronde degli alberi.

Il villaggio era in fermento. Solomon e Melchor si erano assunti l'incarico di supervisionare di persona la demolizione e ricostruzione delle capanne che erano state bruciate.

I cadaveri degli Antici erano stati dati alle fiamme, mentre i morti tra i sopravvissuti, in tutto sei persone, compreso Samuel, erano stati avvolti in bianche lenzuola e ricoperti di fiori, in attesa del rito funebre.

Di fianco alle salme molti familiari e amici stazionavano in lacrime per un estremo saluto. Sei fosse erano state scavate nella foresta. Magda avrebbe diretto la cerimonia al calar della sera, in presenza della luna e delle stelle. Infatti era tradizione sull'Arca redigere un discorso da rivolgere all'Universo, per ringraziarlo di aver donato la vita e pregarlo di prendersi cura dei cari che fossero rimasti a compiangere il defunto. Gli Arcadiani non professavano, di norma, alcuna religione. Molti di loro non credevano nemmeno nell'esistenza dell'anima, nella reincarnazione o nella vita dopo la morte. Ma tutti erano accumunati da un archetipico senso di appartenenza all'Universo: colui che li aveva salvati, accolti e ospitati per mille anni, la silenziosa e infinita oscurità che cullava le città galleggianti nello spazio, custodendo la loro esistenza, collaborando alla loro sopravvivenza.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now