25. La mina vagante

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Una "mina vagante", nel gergo della navigazione, è un'arma che vaga sulla superficie dell'acqua in seguito alla rottura accidentale dell'ormeggio e che per questo costituisce una grave minaccia per barche e navi.

Shani era chiamata "mina vagante" per i suoi comportamenti poco prevedibili, che costituivano spesso un grave pericolo. Per se stessa e per gli altri.

Era entrata nell'Accademia a cinque anni. Una maestra d'asilo l'aveva notata nei piani bassi. La bambina era stata aggredita da un gruppo di ragazzini che voleva rubarle la merenda. Si era difesa con unghie e denti, letteralmente. Aveva urlato, scalciato, graffiato e morso con tale ardore e coraggio che alla fine il gruppetto era stato indotto alla fuga. Quando l'avevano recuperata, mangiava placida la sua barretta seduta sul pavimento, nonostante le antiquate protesi in titanio fossero state deformate dall'aggressione, nonostante avesse un enorme bernoccolo in testa e un occhio gonfio. Nonostante tutto, Shani, a cinque anni, aveva dimostrato che poteva benissimo difendersi da sola.

L'Accademia si prese cura di lei, le tolse il cognome, del quale non serbava più alcuna memoria, e le procurò protesi di nuova generazione. La fece studiare e allenare fino a renderla una guerriera.

Ciò che non potette cambiare fu il suo appellativo.

Perché anche in quella scuola così rigida e austera, in cui solo i migliori sopravvivevano, in cui non venivano date seconde possibilità, Shani era e rimaneva sempre una "mina vagante".

Numerosi studi cercano di spiegare la correlazione tra esperienza traumatica e attacchi di rabbia. Per alcuni psicologi esisterebbe una teoria secondo la quale, durante l'esposizione allo stress la rabbia attiverebbe comportamenti finalizzati alla sopravvivenza. Attraverso l'attacco, l'individuo sopprime i sentimenti di impotenza e cerca di guadagnare un senso di controllo sulla situazione.

Non si sapeva cosa fosse successo a Shani, nei suoi primi anni di vita.

Era però evidente a tutti che la bambina avesse un grosso problema di gestione della rabbia.

La sua collera sfociava in un'aggressività senza remore, una violenza inaudita: picchiava, tirava i capelli fino a strappare intere ciocche dal cranio delle persone, graffiava, mordeva, spaccava oggetti, porte, finestre, urlava, imprecava, aveva una proprietà lessicale in quanto a insulti da far rabbrividire i peggiori bestemmiatori.

Spesso arrivava anche a farsi del male.

Questo era l'aspetto più temuto dai professori dell'Accademia. L'autolesionismo fu il campanello d'allarme che fece attivare una risorsa esterna per cercare di "guarire" la mina vagante. L'aggressività poteva essere direzionata verso finalità utili all'Accademia, l'autolesionismo era uno spreco di energie, sufficiente a motivare un'eventuale espulsione dalla scuola.

La psichiatra, una ragazza giovane, appena laureata, con lunghi capelli ramati ed enormi occhiali tondi, si trovò davanti a una minuscola bambina spaventata.

Gli insegnanti avevano cercato invano di canalizzare e indirizzare la rabbia di Shani verso un fine costruttivo, senza rendersi conto che essa celava un sentimento molto più oscuro e profondo: la paura.

Sì, dietro tutta quella furia cruenta si celava solo molta paura.

Un grande timore sconosciuto la faceva soffrire e per questo utilizzava la strategia dell'ira per liberarsene.

Il risultato era un'escalation di violenza inaudita in cui, alla fine, anche lei ne usciva come vittima.

La ragazza non prese appunti, non tempestò di domande la bambina, non le somministrò test, non la mise alla prova attraverso apparecchiature di biofeedback o procedure di esposizione.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWo Geschichten leben. Entdecke jetzt