17. Il lago

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Camminarono per altri due giorni.

Hans e Ulrik seguivano una vecchia cartina del mondo antico, in cui nazioni colorate, confini evidenziati di rosso e minuscole scritte nere si sovrapponevano tra loro. Secondo il professore era molto più accurata di quella realizzata attraverso le immagini satellitari e le previsioni dei noti studiosi sull'arca.

Hans sosteneva che erano atterrati nel Mar del Nord invece che nell'Oceano Atlantico. La spiaggia su cui erano approdati apparteneva all'antica Germania e non la Spagna che indicavano le coordinate. Era giunto a questa conclusione, non solo dopo aver riconosciuto la lingua parlata da quei mostri, chiunque essi fossero, nella città, ma soprattutto perché aveva letto nella banca in cui erano entrati alcune scritte in tedesco: darlehen, konto, finanzierung...

I margini frastagliati di quelle coste, la vegetazione e il clima, secondo Hans, confermavano la sua intuizione.

Sembrava una distanza abissale, ma tenendo un buon passo e contando anche soste per dormire e rifocillarsi, avevano stimato ventinove giorni di cammino.

Il cibo però non sarebbe stato sufficiente, attorno al decimo giorno avrebbero dovuto cominciare a cacciare, o per lo meno cercare frutti o bacche commestibili.

Il resto del gruppo non si era opposto. Non perché ritenesse valido questo nuovo piano, ma per puro spirito di sopravvivenza.

Si erano rassegnati.

Ulrik glielo leggeva in faccia.

Kuran si era di nuovo chiuso nella sua invalicabile introversione. Teneva almeno due metri di distanza da Shani e si sforzava di non incrociare mai il suo sguardo.

Shani, dal canto suo, si vergognava tantissimo della sua scenata. Sapeva che, seppure i presupposti fossero giusti, l'aveva frainteso, aveva esagerato ed era scoppiata, come suo solito, per un nonnulla. Non avrebbe mai chiesto scusa, anche se si trattava di Kuran. Troppo orgogliosa. Era in imbarazzo anche nei confronti di Tomas, quel ragazzo moro con la faccia da bambino, che era intervenuto, in fin dei conti, per difenderla e proteggerla. Da se stessa, ovviamente.

Tomas aveva capito che il tempo di lottare, imporsi, discutere, litigare, ma anche ironizzare e cercare di scherzarci sopra, era finito. Accettava la situazione così com'era: quel paradiso perduto, le notti stellate e il cielo turchese, il viso così bello da sembrare irreale della guerriera, le sue lunghe gambe toniche, le sue curve, le labbra carnose, gli occhi così brillanti...

Eva si era imposta di non proferire più parola. Anche perché la sua mente era più aggrovigliata che mai. Faceva incubi tutte le notti: si svegliava sudata, col battito accelerato e la sensazione di soffocare. Inoltre ormai era sicura di sentire le voci. Il fruscio delle foglie, le cortecce degli alberi, anche i fili d'erba l'ammonivano di fare attenzione, che un grande pericolo presto si sarebbe palesato, che la sua morte era sempre più vicina. Umana...

«Non sono pazza» ripeteva di continuo, tra sé e sé. La sua salute mentale era stata valutata da numerosi psicologi, psichiatri e neurologi sull'Arca.

«Non sono pazza.» Ma continuava a pensare allo strano acronimo che gli aveva citato Hans. PTSD. Davvero la mente degli Umani era sempre stata così fragile?



Arrivarono nel primo pomeriggio sulla riva di un lago immerso nella più fitta vegetazione. Gli alberi in quel tratto erano uno spettacolo di colori: fiori rosa e bianchi adornavano le chiome e si riflettevano, moltiplicandosi ai loro occhi, sulla distesa d'acqua, un dolce e placido specchio dalla forma circolare. Il paesaggio fiabesco appariva come uscito da un'illustrazione di un libro per bambini.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now