48. Ritorno

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Quel mattino l'aria era particolarmente calda, il cielo era terso e la natura verdeggiante risuonava dei canti di mille fringuelli.

Le montagne, alte, affilate, silenziose, se ne stavano in disparte a osservare la vita frenetica del villaggio in una delle sue giornate ordinarie.

Qualche notte prima erano stati celebrati i funerali. I sopravvissuti avevano pianto, urlato di dolore, cantato. Si erano confessati, si erano confidati, avevano perdonato se stessi e gli altri.

Il perdono era fondamentale nelle fasi del lutto. Perdonare non significava accettare scuse sincere, nessun demone era consapevole del dolore che aveva causato, nessun demone si sarebbe mai dispiaciuto per i crimini commessi e le loro morti non potevano essere una ricompensa. Perdonare significava semplicemente desiderare la pace, dentro e fuori di sé.

Tomas era stato accolto da lunghi abbracci. Sebbene lui avesse cercato in ogni modo di rifiutare, con una gentilezza che poco gli si addiceva, quei gesti di affetto, le persone erano state sorde alle sue obiezioni.

Erano tutti consapevoli del fatto che il ragazzo volesse scappare. Ma sapevano anche che era rimasto. Contavano più le azioni delle intenzioni.

Ulrik si era avvicinato con un po' di impaccio a Kuran, che era rimasto solo in disparte. Con lo sguardo gli aveva chiesto come stesse e l'altro aveva risposto con un lieve cenno d'assenso: andava tutto bene. Sarebbe andato tutto bene.

I bambini avevano corso in lungo e in largo con in mano mazzolini di fiori colorati da posare sulle tombe. Magda aveva bruciato l'incenso e alcune donne avevano intonato antiche litanie, apprese sull'arca. Ognuna di loro proveniva da una nave diversa, per questo si erano dovute accordare sulle parole, sulla giusta traduzione e sulla melodia.

Hans era arrivato in ritardo alla cerimonia, si era affiancato a Shani con passo felpato, pettinandosi i capelli sempre più lunghi con le dita delle mani.

«L'Anziano non viene?» aveva chiesto la giovane, senza nemmeno guardarlo.

Ce l'aveva con lui, poiché Eva non sembrava intenzionata a svegliarsi.

«Aniruddha non ama la folla» aveva risposto il ragazzo, che era rimasto chino sui libri di medicina tutto il giorno.

La donna che aveva pianto di più era stata una ragazza bassa, formosa, con una coda sottile di capelli mori. China sul cumulo di terra in cui era stato sepolto Samuel, aveva versato copiose lacrime, come se avesse voluto innaffiare la zona con acqua salata, fare in modo che non vi crescesse più nulla, non una pianta, non un filo d'erba, rendere evidente a tutti che lì era stato interrato il suo uomo, il suo secondo uomo. Nessuno doveva scordarsi di lui. Lei non l'avrebbe mai fatto.

«Prendete.» Una signora era arrivata d'innanzi a Shani e Hans, porgendo loro due ghirlande di fiori. I ragazzi si erano così risvegliati dai loro cupi pensieri, quasi di soprassalto.

La guerriera aveva tentato di rifiutare, ma la sopravvissuta le era sembrata irremovibile.

Le collane floreali erano state preparate appositamente per i nuovi arrivati, per loro.

«La nostra accoglienza non poteva essere peggiore. Comprendiamo il vostro riserbo. Voi non ci avete abbandonato e ve ne saremo eternamente grati. L'Umana ci aveva insultati, ci aveva detto che con Luis avevamo perso la nostra umanità. Avremmo voluto mostrarle un altro lato di noi, ma non c'è stato possibile e forse non lo sarà mai. In questo momento, però, potete esserne testimoni voi. Noi sappiamo cosa vuol dire mi dispiace. Lo stiamo mostrando ai nostri cari defunti e cerchiamo di manifestarlo anche a voi. Ci dispiace. Immensamente.»

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now