38. Possibilità

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Tomas si era allontanato da tutto e da tutti.

Osservava il villaggio seduto su un tronco d'albero, vicino al recinto che delimitava la fitta foresta, alle sue spalle.

Aveva rubato un sigaro e, dopo aver generato il fuoco con una pietra scheggiata e un sasso oblungo, l'aveva acceso, non senza una certa fatica. Doveva tenere la fiamma davanti alla punta tonda, senza toccarlo, e allo stesso tempo inalare il fumo.

Purtroppo il risultato erano stati diversi colpi di tosse e un sapore amaro in bocca. Non aveva mai sentito niente di più disgustoso. La gola gli andò in fiamme e faticò a liberare le narici da quell'odore quasi asfissiante.

Se lo sarebbe meritato, pensò. D'altra parte, l'aveva appunto rubato.

Cos'era lui, se non un ladro?

Istintivamente riportò il sigaro alle labbra. Questa volta evitò di inalarne il fumo, lo assaporò con lentezza, trattenendolo in bocca pochi secondi prima di buttarlo fuori.

Dopo qualche minuto poté percepire un retrogusto dolce, appena accennato. Nulla a che vedere con le luride sigarette elettroniche che vigevano sull'Arca. I Terrestri la sapevano lunga: il vero tabacco non po' essere replicato in una "sana" versione artificiale.

«Dove l'hai preso?» chiese Kuran, comparendo dal nulla al suo fianco.

«Chissà perché questa domanda oggi mi pare di averla già sentita» rispose stizzito Tomas.

Che diavolo ci faceva lì? Tra tutti gli abitanti del pianeta, era proprio l'ultima persona che voleva vedere in quel momento.

Ah no, c'era anche Ulrik.

E quei tre stronzi a capo del villaggio.

E i demoni.

A dire il vero, forse il problema era lui: non aveva voglia di vedere nessuno.

«Giusto. Dove hai preso la pistola?»

«Secondo te?» Non avrebbe risposto a nessuna inquisizione. Conosceva le dinamiche di un interrogatorio. Deviare sempre, ove possibile, omettere la risposta. Mai negare. Negare vorrebbe dire mentire. Le bugie si pagano più del silenzio.

Kuran si sedette a fianco a lui.

Era così magro e dinoccolato che le sue lunghe gambe al suo fianco facevano sembrare perfino un fisico come il suo muscoloso. Ma Kuran poteva permetterselo di essere oltre i classici standard dell'Accademia. I suoi capelli corvini e quegli occhi a mandorla un po' stralunati conquistavano anche i cuori più gelidi.

«Hai fatto bene.»

Tomas inspirò per sbaglio e riprese a tossire.

Kuran lo fissò divertito.

«Ci serviva un'arma. Non so come tu abbia fatto, ma hai fatto bene.»

Il compagno sputò a terra, sentiva in bocca lo stesso sapore penetrante che aveva provato a inalare.

«Che cazzo vuoi, Kuran?»

Il pilota scoppiò a ridere, gli occhi si chiusero in due minuscole fessure.

«Sai, ragionavo su quello che ti ha detto l'Anziano, Aniruddha. Ho sempre avuto questa strana sensazione, riguardo te: o sei un coglione patentato o fingi di esserlo. Ma se stai fingendo... Perché lo fai? Le tue battute di merda, quell'aria arrogante, il sorrisino sempre stampato sulla tua faccia da ebete. Pensavo di aver capito, di aver trovato una soluzione al mio dilemma. Poi quel mostro ti vede una volta e...mi crolla tutto di nuovo addosso. Ogni mia certezza. Lo fai o lo sei. Proprio non riesco a decidere.»

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora