3- Questione di Karma

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Mel

"C'è un cuore di riserva,
anche nei giorni più stanchi e desolati.
Lo riconosci quando sorride e ti dice di andare avanti."
-Fabrizio Caramagna -

"Ti dirò un segreto Melly" gli occhi della mamma erano gonfi e rossi, aveva pianto molto.
Era sempre triste e non ero capace di farla ridere. Mai.
Solo qualche volta ero riuscita a strapparle un sorriso, esibendomi in una delle mie storielle strampalate scritte apposta per lei.
La mamma era buona e gentile ed era molto bella. Quando non si chiudeva in camera, e preparava la sua torta di carote, assomigliava a una fata.
"Sono brava con i segreti" le dissi sottovoce, era giorno ma le serrande della sua camera da letto erano talmente serrate da impedire a qualsiasi raggio di sole di filtrare.
La sua mano sottile mi accarezzò i capelli e mi sentii in pace.
Mi piaceva stare con lei.
"Mi somigli molto bambina mia. Mi dispiace." corrucciai la fronte.
"Ma io voglio essere come te" volevo essere una fata anche io.
La sua mano si irrigidì e prese un lungo respiro che sembrava portare il peso del mondo.
La mamma stava di nuovo viaggiando lontano, i suoi occhi si fecero distanti e sapevo che l'avevo persa. Spesso se ne andava per un po' e i suoi pensieri vagavano in posti lontani ma tornava sempre da me. Sempre.
"Dovrai essere forte, il mondo è duro per quelle come noi".

La depressione era sempre stata un demone nella mia famiglia. Una presenza invisibile, ma così ingombrante, da togliere il respiro e risucchiare ogni forza vitale.

La mamma ci soffriva da anni, la depressione maggiore si era cronicizzata dopo il divorzio da mio padre, ma era stata proprio la malattia a scatenarlo.

Quando ero bambina, e mio padre era impegnato con il lavoro, vivevo le giornate affrontandole volta per volta.

Mi svegliavo e controllavo la stanza della mamma, se aveva aperto le finestre e vi era luce allora sarebbe stata una buona giornata, al contrario, se avessi trovato tutto buio e silenzioso sapevo che se ne sarebbe stata rintanata lì dentro per tutto il tempo.

Crescendo avevo imparato a conviverci e, seppur nessun mio amico fosse mai stato invitato a casa mia, la situazione non mi sconvolgeva più.
La mia mamma era sempre stata più triste di quelle degli altri ma io l'amavo incondizionatamente.

Poi si erano aggiunte le sue ossessioni. Come la gelosia patologica nei confronti di mio padre o l'ansia, che la portava a non voler più uscire di casa finché, alla fine, non era andato tutto a rotoli.

Un giorno, dopo essere tornata da casa di un'amica, avevo trovato le valigie pronte sull'uscio di casa e la mamma seduta sul divano a fissare un punto vuoto.

Eravamo scappate via durante quella stessa notte, mio padre svolgeva il turno notturno e mia madre si era già procurata due biglietti per l'autobus che ci avrebbe condotto da sua sorella Rose.

Era stato un viaggio eterno che avevo vissuto sentendomi estraniata dal mio corpo.
Pensavo solo all'iscrizione già effettuata per il primo anno di liceo e mi chiedevo se avrei mai rivisto casa mia. Per il mio cervello era stato uno shock troppo grosso, e si era tenuto impegnato focalizzandosi sui problemi minori anziché su quelli reali.

Avevo pianto così tanto che temevo non mi sarei più fermata ma, il giorno dopo, insieme al sole tiepido di Seattle, ero riuscita a rimettere insieme i pezzi e ad affrontare la giornata.
Un passo per volta.

Quella mattina era il mio secondo giorno di scuola e riuscii comunque ad arrivare in ritardo.

Quando entrai in aula, infatti, il professor Prust aveva già iniziato la lezione di letteratura.
Mi scusai rossa in volto e feci per sedermi all'unico banco libero.

Look up - Let's play with destinyWhere stories live. Discover now