39- Il cammino

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Mel

"E sotto il cielo stellato
mi sento amato,
tu sei la mia stella
e quanto sei bella."
-Valentino Calvo-

-Mamma?- il mio cuore stava impazzendo, deglutii percorrendo il breve corridoio.
Notai la luce fioca provenire da sotto la porta della sua camera e la stretta allo stomaco aumentò.
Abbassai la maniglia, le mani mi tremavano così tanto che dovetti fermarmi un secondo e prendere un lungo respiro.
Una sensazione bruttissima mi stava scivolando sulla pelle, era densa e soffocante.
Guardai la piccola abat-jour accesa sul comodino, il letto matrimoniale sfatto e la stampa di Andy Warhol appesa alla parete.
-Mamma?- ripetei con voce soffocata, la porta del bagno era socchiusa e in quel momento capii.
Non so come fosse possibile ma ero già a conoscenza di quello che mi stava aspettando.
Spinsi la porta del bagno e il mondo mi crollò addosso.
Tutto divenne confuso mentre mi lanciavo verso di lei.
La mamma era stesa sul pavimento, la camicia da notte chiara era completamente imbrattata di sangue. Ce n'era dappertutto, così tanto che iniziò riversarsi su di me quando mi inginocchiai per sollevarle la testa.
Non mi ero mai sentita così in tutta la mia vita.
Terribilmente piccola e inutile, un granello di sabbia stritolato dalle ombre del mondo.
Elizabeth aveva deciso di volare via da me, era bastato che voltassi lo sguardo per un secondo, un misero momento era stato sufficiente perché lei scegliesse di arrendersi.
Aveva scelto che non ne valeva più la pena.
Che non aveva alcun senso continuare a vivere con quelle lenti grigie.
Aveva deciso che, se non avesse potuto rivedere il sole, allora avrebbe preferito spegnerlo per sempre.
Ma lei con quel gesto aveva spento il mio di sole.
E io non era stata disposta ad accettarlo.
Così l'avevo stretta a me e avevo creduto in lei.
Con più forza che mai.
Con più amore di quanto credessi fosse umanamente possibile.
E lei era tornata da me.

Non ero sicura di quanto tempo fosse passato, non ero neanche certa di essermi mai alzata da quella sedia di plastica.
Strinsi le ginocchia al petto senza toglierle gli occhi di dosso.

La mamma dormiva in quel grande letto, i capelli morbidi sparpagliati sul cuscino bianco e il bel volto disteso.

Non riuscivo a smettere di guardarla, ero terrorizzata dall'idea che se lo avessi fatto, anche solo una volta, lei se ne sarebbe andata.

Quando zia Rose aveva chiamato io ero appena arrivata a casa, aveva preso la telefonata Julie e avevo subito capito dal suo sguardo che qualcosa di terribile era successo.

Quel maledetto giorno mi era sembrato infinito.
Quanto potevo sopportare ancora?
Sembrava che i miei incubi peggiori si fossero risvegliati manifestandosi nella realtà.

Mio padre era arrivato non appena era stato informato, completamente devastato.

Aveva passato l'intera giornata in centrale e non mi era sembrato in sé.
Appoggiai il mento sulle ginocchia e guardai la mamma sospirare nel sonno.

Come era potuto accadere?
La clinica aveva raccontato che era riuscita a non prendere le sue medicine per giorni interi, per poi ingurgitarle tutte insieme.

Il cocktail che aveva creato le aveva provocato un arresto cardiaco ma i dottori erano riusciti ad arrivare in tempo.

Il tempismo era di nuovo stato dalla nostra parte.
Ma quante altre volte il destino ci avrebbe graziato?

Mi asciugai le guance, non riuscivo a capire neanche come riuscissi ancora a piangere.

La porta si aprì, la stanza che l'ospedale aveva dato alla mamma era piccola e poteva ospitare massimo due ospiti alla volta.
Zia Rose si affacciò, sembrava stanchissima e anche lei, come me, non si era mossa da lì per tutti i due giorni.

Look up - Let's play with destinyWhere stories live. Discover now