Prologo

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Damian

-Damian caro esci da lì- sbirciai attraverso le ante dell'armadio. Avevo caldo, e avevo fame.

La pancia mi brontolò in risposta.

-Secondo me tuo figlio è scemo, Betty- l'uomo nero era in piedi e riuscivo a vedere la sua schiena sudata e nuda.

Mi ritirai indietro, dovevo andare in bagno ma potevo aspettare ancora un po'.

Mi passai una manina tra i capelli, non erano belli, per niente. Steve, il bambino che viveva nella casa di fronte, lo diceva sempre.

-Cosa fai?- la mamma si raddrizzò dal divano ruvido della nostra roulotte, e io arretrai così tanto che sbattei contro il fondo dell'armadio.

Là dentro c'era di tutto e non ero sicuro di cosa mi avesse appena punto la gamba.

-Esci moccioso- l'uomo nero aprì di colpo l'anta inondandomi di luce. Mi nascosi gli occhi nella mano, e non solo perché mi bruciavano, ma perché non volevo vedere loro: gli occhi spaventosi dell'uomo nero.

Che in quel momento imprecò e mi trascinò fuori.

-Hai sentito tua madre imbecille? Che cazzo fai sempre nascosto là dentro, eh?-il suo alito acido mi lambì il viso e sobbalzai alla sua voce tonante.
-Tuo figlio è un pervertito Betty...- l'uomo nero rise e il mio sguardo corse verso quello della mamma.

Era spettinata e stanca come sempre.
Si sistemò sul divano piegando le gambe magre.

"Ti prego mamma, ti prego, digli di smetterla."

La implorai con gli occhi ma i suoi rimasero incollati al collo della sua birra.

La stretta dell'uomo mi fece scricchiolare le ossa del polso quando mi tirò ancor di più verso di sé.

-Guardati, sei un uomo ma non fai altro che piagnucolare e rompere le palle- la sua mano dal polso si spostò sul mio collo.

Iniziò a stringere.

-Le femmine piangono, sei una femmina per caso?- sibilò tra i denti.

Gorgogliai un "no" ma era così difficile respirare che la vista iniziò ad appannarsi e gli occhi a riempirsi di minuscole stelline.

-Jimmy può bastare, lascialo andare dai- la mamma parlò con la sua voce debole e trascinata.

Ma quasi non la sentii perché le stelle avevano iniziato a farsi tante, troppe.
Smisi di sentire le dita, poi le mani e velocemente iniziai a non sentire più nulla.

Nemmeno la puzza dell'uomo nero che mi stava avvelenando l'anima.
E pensai che era bello vedere tutte quelle stelle e non sentire nulla.
Le stelle erano mie amiche, da sempre.

-Jimmy... la birra... faccia viola... dai vieni qui amore... lascialo perdere...- afferrai solo pezzi di frase e la voce stanca della mamma.

Poi l'uomo mi lasciò cadere a terra.

Il pavimento colpì violentemente la mia spalla.
Volevo piangere ma il mio corpo sembrava incapace di produrre lacrime.

-Che cazzo Betty... Stai dalla parte di questo pisciasotto adesso?- sentii lo stomaco rigirarsi per la vergogna.

Me l'ero fatta di nuovo addosso.

-È mio figlio- il tono della mamma si fece un poco più lucido.

Fui così sorpreso da quella frase che sollevai la palpebre e la guardai con la guancia che si incollava al pavimento appiccicoso.

-Tuo figlio?- Jimmy si dimenticò in un attimo di me.

La mamma sgranò gli occhi quando l'uomo le si avventò contro,

-Per quello che ne so io e ti ricordi tu potrebbe anche non essere uscito dalla tua fica.-

-No, Jimmy!- la mamma alzò le braccia ma fu troppo lenta.

-Sicura che sia tuo, troia?- le afferrò i capelli arruffati urlandole a un millimetro dalla faccia.

-Lo sai che è mio... - la mamma piangeva e iniziai a sentire molto caldo.

Odiavo sentirla piangere.

-É uguale a me- piagnucolò.

Jimmy grugnì.

-E che ne sai? Dici che non ti ricordi chi ti ha sbattuto quella notte...-

Tirò indietro la testa della mamma e i due si guardarono negli occhi.

-Non ne ho idea Jimmy, te lo giuro... te lo giuro... io amo te... ti amo tantissimo lo sai...-la mamma cercò di allentare la presa avvolgendole le dita magre intorno al polso.

-Ma chi  vuoi prendere per il culo...-

-No!- Jimmy la scaraventò contro allo schienale del divano, la mamma colpì con la tempia il bordo il legno senza fiato.

-No! Mamma!- mi alzai nonostante la testa mi girasse ancora.

-Ritorna nell'armadio imbecille- l'uomo era molto più forte di lei.

Guardai la mamma.

"Ti prego. Ti prego fai qualcosa. Ti prego mandalo via. Andiamo via noi"

Ma lei batté le ciglia, si pettinò i capelli con i palmi delle mani e guardò l'uomo nero.

Sapevo già cosa stava per fare. Lo faceva sempre quando lui era molto arrabbiato.

Lei si sdraiò sul divano piegando le ginocchia e poi aprì le gambe.

-Sono tua- gli disse.

Quelle due parole mi si impiantarono nel cuore, ogni volta mi toglievano un po' di speranza.

L'uomo nero imprecò, afferrò la birra iniziata solo per finirla in un lungo sorso e poi fece quello che faceva sempre:

le spalancò le gambe con un grugnito.

-Forza, fammi vedere quanto mi ami stronza-

Ci fu il rumore di una zip che veniva abbassata ma io avevo già iniziato a retrocedere per non vedere oltre.

Perché la mamma lo faceva?
Ero io che non capivo?
Ero davvero stupido?

-Va via Damian- fu l'unica cosa che la mamma disse a me.

E io ubbidii.
Anche se l'armadio non sarebbe stato sufficiente a coprire i rumori.

-Per me può restare a guardare, é giusto che veda chi é sua madre- l'uomo attirò la mamma a sé afferrandole le cosce,
-e che capisca chi é lui-

Chiusi l'armadio ma lo sentii comunque:
-Niente, lui non è nessuno.-

L'uomo nero, quella sera, rapì di nuovo ogni stella.

Look up - Let's play with destinyOnde as histórias ganham vida. Descobre agora