19- Verità scomode

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Damian

"Quando guardi a lungo nell'abisso,
l'abisso ti guarda dentro."
-Friedrich Nietzsche-

Sembra che ciascuno di noi nasca con un biglietto in tasca.
Non si sceglie, spesso non si ha neanche idea di quale valore abbia.
Qualcuno scopre col tempo che è un biglietto d'oro e le porte per quelle persone saranno sempre aperte.
Le loro giornate saranno benedette e la loro vita niente male.
Poi ci sono quelli come me, che in tasca hanno un biglietto miserabile che li dannerà a scontrarsi contro porte chiuse e una vita, già dal principio, macchiata.
Il mio biglietto marcio aveva iniziato a svolgere il proprio compito donandomi Beatrice Owell, mia madre.
Sarebbe stata una vera bellezza se non avesse distrutto il suo corpo e la sua mente con il crack.
Forse sarebbe stata anche una madre decente, magari mi avrebbe portato al parco, mi avrebbe comprato gelati e mi avrebbe dato lo sciroppo quando ero malato.
Beatrice sarebbe potuta essere il mio angelo ma aveva deciso di essere il mio demone.
Qualsiasi fonte di gioia e spensieratezza se l'era divorata, un pezzo per volta, una violenza per volta.
Erano tre giorni che non mangiavo quando gli assistenti sociali mi avevano trovato seduto sul divano della nostra roulotte.
La mamma era uscita con il suo fidanzato Jimmy e non era ancora tornata.
Io la stavo aspettando, anche se non mi guardava ed era sempre stanca, io aspettavo sempre il suo ritorno.
Quando la donna dei servizi sociali mi aveva scoperto mi aveva abbracciato, lo ricordo benissimo perché non avevo mai sentito un profumo buono come il suo.
I suoi occhi marroni avevano trovato i miei ed erano profondamente tristi.
Da quel giorno non vidi più quella roulotte ma lei rimase sempre dentro di me.
Quando il buio ti penetra nelle ossa si stabilizza e non c'è luce abbastanza luminosa per poterlo scacciare.

Diedi l'ennesimo colpo al saccone da box, mi ero bendato le mani solo perché erano ancora ferite dopo Hamilton.

-Ti va di guardare un film?- Nate apparve dalla porta della mia camera, si era appena fatto una doccia e i suoi capelli chiari sembravano più scuri.

-Non posso, dopo esco- diedi un altro destro al sacco che gemette in risposta.

-Vai all'Hub's? È da un po' che non passiamo del tempo da soli Dame- aveva ragione, mi fermai asciugandomi la fronte con il braccio.
-Puoi venire con noi se vuoi- gli sorrisi e lui scoccò la lingua.

Tornati dal falò Nate mi aveva sottoposto a un terzo grado neanche fosse mia madre.
Era preoccupato per me diceva, era sempre così.
Io sbagliavo e lui aggiustava.
Io rompevo e lui incollava.

Nate era il figlio perfetto che ogni genitore sperava di avere e si era calato benissimo nel ruolo di fratello protettivo.

Ero cresciuto sperando di essere come lui un giorno, aspettavo il momento in cui anche io sarei riuscito a sorridere cordialmente agli sconosciuti.
Volevo diventare il genere di ragazzo che mio padre, William Hale, avrebbe guardato con ammirazione.

Avevo presto scoperto che non ci sarei mai riuscito, ero troppo sporco, troppo sbagliato.
Nate invece brillava di una luce pura e incontaminata.
Così crescendo mi ero arreso e non avevo più sperato di essere un ragazzo normale, ma mi ero ripromesso che avrei difeso sempre la bontà di Nate.

Sarei sempre stato la sua spada, lui lo sapeva e aveva vestito i panni del mio scudo.

Sapevo che aveva parlato con Hamilton, ovviamente non aveva alcuna intenzione di sporgere denuncia dato che aveva cominciato lui.

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