11- Un gioco pericoloso

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Mel

"Mi perdi
nel momento in cui giochi
oscillando fra il tenermi
e il lasciarmi andare."
-Damn Poet-

Damian era un vero enigma.

Era arrogante, borioso e sfacciato ma, più di una volta, mi aveva mostrato che c'era dell'altro.

Come riusciva a farmi passare dal detestarlo a esserne affascinata proprio non lo capivo, sapevo però, che possedeva una mente complicata e, l'arguzia nelle sue risposte, mi affascinava.

Sospirai avviandomi verso la porta di casa, frugai nella borsa in cerca delle chiavi quando un'ombra scura si mosse davanti a me.

-Oh cavolo! Papà mi hai spaventata!- mi chinai a raccogliere le chiavi cadute a terra, Carl si era alzato dalla poltrona di vimini e mi stava osservando in silenzio.

Presi un lungo respiro.

-So che sei arrabbiato e hai ragione. Mi dispiace, il tempo è passato e io non mi sono accorta di quanto fosse tardi- mi fermai ai piedi delle basse scale della veranda.

Gli occhi scuri di mio padre erano freddi, per nulla rassicuranti.

-Hai detto che avevi un progetto per la scuola e saresti tornata alle nove- quando finalmente parlò il suo tono mi mise i brividi.

-Infatti, te l'ho detto non ...- sciolse le braccia, che aveva tenuto fino a quel momento incrociate, interrompendomi.

-E il tuo progetto contemplava Damian Hale e di dover passare tutte quelle ore da sola a casa sua?!- sussultai quando alzò la voce.

Rimasi stupita nel sentirgli nominare Damian. Vide il mio stupore e assottigliò lo sguardo, era davvero furioso. Non ricordavo un'altra volta in cui l'avevo visto davvero arrabbiato con me.

Carl Jensen era più simile allo sceriffo, che a mio padre, in quel momento.

-L'ho visto, ero qua fuori ad aspettarti. Da quanto vi frequentate? Sei arrivata quando, una settimana fa?- aprii la bocca per replicare senza successo, presi un respiro e ci riprovai.

-Damian e io siamo stati assegnati  dal professore Prust per un progetto scolastico. Non ti ho mentito, sono andata a casa sua per lavorare al compito- la mia voce era uscita flebile e impaurita come quella di una bimba.

Carl mi guardò dalla testa ai piedi, le labbra strette in una linea sottile e una ruga profonda gli tagliava la fronte.

Capii che si stava trattenendo, e buon Dio, io odiavo i conflitti proprio per quello: non riuscivo a gestirli, finivo sempre col piangere per la tensione o per soccombere.

Con Damian però era stato diverso, finora era stato l'unico capace di tirar fuori la parte di me più istintiva.

L'immagine di lui e Vanessa mi passò alla mente, compreso il ricordo di quanto mi fossi sentita offesa e arrabbiata con lui. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, io, Melanie Jensen, che repudiavo qualsiasi forma di violenza, avevo desiderato ripagarlo con la sua stessa moneta invece che lasciar perdere come avevo sempre fatto.

-Melanie non trattarmi come se fossi un idiota. Conosco i ragazzi come Damian, anzi, conosco molto bene lui e conosco te. Almeno penso.- lo guardai ferita. E non capii a cosa stesse alludendo, conosceva Damian?

-Papà non...- mi interruppe perdendo la pazienza.

-Non voglio che lo frequenti, non voglio che tu abbia nulla a che fare con quel ragazzo, ci siamo capiti?
E, soprattutto, non voglio che tu vada a casa sua di nascosto a fare, dio, chissà cosa!- deglutii di fronte al suo attacco. E sentii gli occhi iniziare a pizzicare, dannazione.

Look up - Let's play with destinyWhere stories live. Discover now