10- Poesia

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Mel

"Se, come il viso, si mostrasse il core"
-Ariosto -

-Oddio!- mi alzai di fretta ficcando alla svelta i fogli nella borsa. Damian mi guardò divertito.

-Porca miseria- scoprii le chiamate perse di mio padre, esattamente otto, solo in quel momento. Mi ero scordata di rimettere la suoneria, ed ero in ritardo di un'ora rispetto all'orario di ritorno che gli avevo dato.

Digitai velocemente un messaggio di scuse in cui lo avvertivo che stavo tornando.

-Sei venuta a piedi?- Damian mi seguì dentro casa e rimasi stupita di non trovarci i genitori. L'ora di cena era ormai passata e loro non erano ancora tornati.

-Sì, non ho ancora un'auto. Mio padre me ne ha promessa una, ma chi ci crede?- scherzai e di nuovo mi stupii di quanto facilmente mi dimenticassi che, quello con cui stavo parlando, fosse Damian.

-Beh ciao, ci vediamo a scuola- aprii la porta sentendomi un po' stupida.

Damian non si era ancora rimesso la maglietta e la panoramica del suo corpo mi fece sentire, di nuovo, piccola e inadeguata.

Molti coetanei avevano ancora le fattezze da ragazzino ma lui non ne aveva, per niente.

Mi lanciò un'occhiata per poi allontanarsi. Per un attimo credetti che se ne fosse andato senza salutare ma lo vidi tornare con una maglietta.

-Andiamo, ti do un passaggio- si infilò le chiavi della macchina in tasca.
Lo guardai scioccata.

-Non preoccuparti, mi piace camminare- mi superò aprendo la porta.
-Ho detto che ti accompagno, forza esci- alzai gli occhi al cielo e ubbidii.

-Non riesci proprio a essere gentile, eh?- lo seguii, nonostante i suoi passi fossero il doppio dei miei, verso un'Audi nera.

Le luci d'accensione si illuminarono.

-No, dovrai abituarti- feci il giro per raggiungere il lato passeggero, borbottando un "dispotico "che ero sicura avesse sentito.

-Mel?!- Nate apparve a pochi passi da noi. Aveva addosso ancora la giacca della squadra e mi guardava sorpreso.
-Che ci fai qui?- lanciò un'occhiata a Damian e riuscii a vedere le rotelle del suo cervello girare impazzite.

-Siamo in coppia per un progetto di letteratura, avevamo del lavoro da fare- spiegai a disagio, gli occhi e grigi di Nate si accesero di comprensione.
-Giusto, Sean mi ha detto che gli hai dato buca per studiare...- arrossii un po' anche se, in realtà, era la verità.

-Nate togliti dal cazzo, dobbiamo andare- il biondo lanciò un'occhiataccia al fratello che, in tutta risposta, suonò il clacson.

-Che rottura, ciao Mel ci vediamo- gli sorrisi augurandogli la buonanotte e mi affrettai a salire in auto.

-Ciao stronzo - Nate si sporse verso il finestrino, lanciò un bacio a Damian, il quale gli fece il dito medio per poi dare gas e partire.

Se non fosse stato già un narcisista egocentrico avrei sicuramente commentato la sua auto. Era pazzesca. Ma rimasi zitta mentre procedeva, a una velocità da galera, verso il mio indirizzo.
La sua auto era intrisa del suo profumo e mi costrinsi a concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse il ragazzo al mio fianco.

Le villette ordinate ci sfilavano accanto e la mia mente iniziò a viaggiare su strade lontane. Mi chiesi cosa stesse facendo la mamma in quel momento, non avevo idea di come organizzassero le giornate lì alla clinica.

Inaspettatamente la voce calda di Damian riempì l'abitacolo sottraendomi violentemente dai miei pensieri.

-Te che mi guardi e passi,
dimmi cosa pensi.
Vedi troppo poco di me eppure mi sento nuda quando mi incontri.
Te che mi guardi e desisti,
fermati una volta e sorridimi.
Guarda me, solo me, per una volta. -

Ritornò il silenzio e io potevo sentire solo il battito furioso del mio cuore.

-È una tua poesia, no? L'ho trovata negli archivi della scuola- mi voltai per osservare l'enigma Damian Hale.

Non distolse gli occhi della strada come se non mi avesse appena tolto il terreno sotto ai piedi.

-Sì, è mia- mi lanciò un'occhiata chiedendosi, sicuramente, il perché della mia voce strozzata.

-Alle medie ho partecipato a un concorso. Hai letto sul serio le mie poesie?- per la prima volta vidi nella reazione di Damian un leggero imbarazzo.

-Ho pensato potesse essere utile per il progetto- spiegò secco e io tornai a guardare davanti a me. Per un po' ci fu di nuovo silenzio.

-È bella- mi voltai di nuovo a guardarlo sentendo qualcosa pungermi al petto. Lui non rispose allo sguardo ma dal modo in cui stringeva il volante capii che fosse a disagio.

Non conoscevo molto Damian, ma era facile intuire che se non era abituato a conversare amabilmente figurarsi a parlare di poesia, perciò, apprezzai le sue parole ancor di più.

-Sinceramente io non riesco a dare un giudizio alle poesie. Loro sono emozioni scritte su carta, ci possono essere, semmai, poesie che parlano di emozioni brutte ma non brutte poesie. Non credo che esista un'emozione sbagliata, né quindi, un modo sbagliato per scriverne. - questa volta mi guardò ma, come sempre, non era semplice capire cosa gli passasse per la testa.

Mi stupii di me stessa, era insolito per non dire raro, che dessi voce ai miei pensieri in quel modo. Avvampai sperando che la notte lo nascondesse.

-Allora la tua è una bella poesia anche se parla di qualcosa di brutto- rallentò accostando davanti a casa mia e spense il motore.

Mi voltai senza riuscire a fermarmi e incontrai i suoi occhi. Le parole mi scivolarono sulla lingua.

-È più facile scrivere poesie quando si è tristi, quando si è felici spesso si è occupati con altro- le sue iridi lampeggiarono nella notte inchiodandomi sul sedile.
Mi obbligai a deviare lo sguardo.

-Grazie per il passaggio Damian, buonanotte- feci per aprire la porta ma la sua mano mi fermò stringendomi il polso.

Il cuore mi salì in gola e il suo profumo intenso mandò in cortocircuito i miei sensi.

Il suo pollice mi accarezzò la pelle  per poi fermarsi al centro del polso, poteva sentire i battiti accelerati del mio cuore e, quando alzò lo sguardo sul mio, ero certa che potesse leggerci dentro il caos che provavo.

-Io e Nate siamo fratelli adottivi, non biologici, i nostri genitori ci hanno portato a casa quando avevamo sei anni- trattenni il fiato mentre il suo pollice sembrava marchiare a fuoco la mia pelle.

Sembrò riflettere sulle sue parole, e io rimasi immobile a guardarlo. Il silenzio ci piombò addosso e lui lasciò la presa liberandomi il polso.
Sentivo la pelle pizzicare dove l'aveva toccata mentre mille scenari diversi si affacciavano nella mia mente a quella nuova informazione.

Che tipo di infanzia aveva vissuto Damian?

-Scusami non lo sapevo, non volevo essere indelicata prima- ammisi con voce bassa.

Guardai il suo profilo scolpito percependolo di nuovo freddo e distante anni luce da me.

Solo dopo lunghi secondi mi lanciò un'occhiata.

-Non lo sa nessuno, a parte la mia famiglia e Kate.- aggrottò di nuovo la fronte e i suoi occhi passarono in rassegna il mio volto.
Abbassai lo sguardo guardandomi le mani che tenevo congiunte sulle cosce.

-Grazie per esserti aperto con me- arrossii un po', ma lo pensavo sul serio. Il suo sguardo continuò a osservarmi criptico per poi raffreddarsi del tutto.
Tornò a guardare il parabrezza.

-Dovresti rientrare ora. Ci vediamo, Mel- mi congedò e il tono freddo che usò mi face sussultare.

Potevo vederlo, potevo vedere il muro che aveva appena eretto tra di noi.

Presi la borsa ancora frastornata, ma seguii la sua richiesta di togliermi dai piedi.
Riuscii a capirlo, non è facile parlare di ciò che fa male.

-Ciao Damian- sussurrai e aprii la portiera lanciando un'ultima occhiata verso la sua espressione persa.
Dove stavano viaggiando i suoi pensieri?

Rimasi a osservare la sua auto sfrecciare via nella notte, portandosi dietro di sé una marea di domande e lasciandomi un piccolo peso nel cuore.

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