C A P I T O L O 7

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D A M I À N

—Si può sapere cos'hai combinato?— dico allarmato avvicinandomi al mio amico.

Era l'una di notte, avevo appena finito di lavorare quando mi ritrovo davanti il naso sanguinante dello stupido di fronte a me.

—Allora? Non ti sei mai messo nei guai, non farlo ora, idiota.— Gli ripeto tappandogli il naso con un dischetto igienizzato.

—Era necessario Dam, te lo giuro.
—Non vedo come una litigata possa essere necessaria.

—Aia!— esclama lui.

—Sentiamo, tanto necessario da procurati un labbro rotto?— domando retoricamente— Vedi di non fare cazzate, Dylan.

—Non è stata una cazzata.— Contrabbatte lui tamponandosi il labbro.

—Bhe se forse mi dici di che si tratta posso provare a capirti.

—Quel bastardo di Nate, è da mesi che sbava dietro ad Edith, te ne sei accorto, no?

—Edith?— domando confuso.

—Si, l'ha invitata ad uscire più volte, saltando persino gli allenamenti— spiegava Dylan mentre i miei occhi iniziarono a spalancarsi come piatti— stasera ha provato a toccarla, lei non voleva ma quello stronzo ha insistito.

—Aspetta...— inizio a dire.

—No, non è così schifoso, Edith l'ha respinto e ha ferito il suo ego, così quell'animale l'ha insultata e discriminata.

—E tu come lo sai?— chiedo.

—Perché dopo è corsa da me. Stavo dormendo e ho sentito bussare ripetutamente la porta, quando ho aperto c'era Edith con gli occhi gonfi pieni di lacrime e ansimando per la corsa fatta.— spiega.

—E le ferite?

—Quando l'ho riaccompagnata a casa non potevo rimanere la rabbia repressa... così sono andato da Nate...—spiega.

—E ti sei ridotto così— finisco al posto suo.

—Credimi, lui è messo peggio.— dice alzando il busto dalla sedia.

—Sta' giù.— gli dico posandogli una mano sulla spalla— Dylan, sei nella merda.

—Andiamo, cosa potrà mai fare quello...

—Non per Nate, per Edith.

—Cosa succede con lei?

—Con me non abbocchi, ti conosco—  Dylan non era un amico, era un fratello, lo conoscevo come le mie tasche.

—Oh no...

—Oh, certo che si— contrabbatto.

—Non è come credi.

—Quindi non uccideresti per lei?

—Certo, ma non...

—Dylan— lo fermo— potrei negarlo quanto vuoi, ma gli occhi parlano.

—Damiàn, ti sei drogato? Come possono parlare gli occhi?

—Sei un idiota— riferisco col cuore— Quindi... era Edith ad uscire con Nate?

—Si, chi credevi che fosse?— domanda confuso.

—Credevo fosse Ella— rispondo.

—Ella?— chiede ridendo— Nate non arriva nemmeno ai talloni di quella ragazza.

—Perché la lusinghi? Non credevo fosse tra i tuoi gusti.

—Chi ha mai parlato di gusti, è una bella ragazza, si, ma non è il mio tipo— Ella non sarebbe il tipo di nessuno, o nessuno sarebbe il suo tipo.— quello che volevo dire è che è troppo geniale, è una crocerossina, le piace leggere, le piace la tranquillità. Non fa per Nate.

—Tutte fanno per Nate se sono di genere femminile, quel tarado non vede il carattere...

—Ed Edith è troppo ingenua— aggiunge Dylan.

—A pensare che ci ho fatto una figura di merda con quella bionda...

—Con Ella, dici?— chiede e io annuisco.

—Le sono andato vicino dicendole di non creare problemi per una misera notte...— spiego— Okay, forse non ho detto esattamente così...

—Le hai dato della poco di buono— conclude il mio amico— L'hai fatta grossa, se lo ricorderà a vita. Dovresti chiederle scusa.

—È quello che farò— affermo fissando il vuoto— ma non le accetterà mai, non mi lascerà nemmeno parlare.

—Nah, secondo me no. Non è stronza come sembra.— suppone Dylan.

—Sembra che tu la conosca bene.

—È solo un bel tipo, un personaggio...

—Prendo le chiavi, così portiamo questa tua faccia rotta a casa.

—Damiàn, se ci ferma la polizia...

—Non ci fermerà— assicuro.

—Ma potrebbe farlo— mi ricorda— se ti beccano senza patente è finita.

—Non è mai capitato, Dylan.

—Forse perché corri come una blatta in fuga e non si vede un cazzo?

—Okay, fattela a piedi— detto ciò,  mi mandò a fanculo e mi seguì verso la moto appena aggiornata e riverniciata.

Si, forse avrei dovuto cambiarla, dato che era di mio padre, l'aveva comprata circa un mese prima di morire, quindi quando ho iniziato ad usarla era nuova di zecca, solo un po' fuori uso, così con un paio di modifiche, è tornata come nuova.

Le moto erano pura adrenalina, brividi che scorrevano nelle vene pulsanti d'energia, che si nutrivano dal suono dell'acceleratore e dal motore che giaceva vibrante sotto il petto.

Erano sinonimo di motivazione, il sentimento di invincibilità, della potenza, e nonostante sapessi che in questo mondo siamo solo piccoli granelli di polvere, correre sulla strada mi faceva sentire finalmente possente.

Sapevo di esserlo, dagli sguardi delle persone, dalla mia prontezza, dalla mia dinamica ed esattezza nel fare le cose, ero elegante, preciso, cordiale ed intelligente, e non me la credo, è un dato di fatto, perché la vita si costruisce con convinzioni, che poi diventano fatti, ho convinto me stesso d'essere poderoso, e mi ci è bastato poco per crederci, mi ci è bastato poco per farmi scivolare addosso ogni cosa che non mi desse benessere o che non portasse pace alle persone che amo.

Per amare qualcuno devo focalizzarmi sul soggetto, ed è estremamente difficile che distolgono lo sguardo dal mio obbiettivo per guardare qualcuno che non mi può dare stabilità, a meno che il soggetto non mi si piazzi davanti, allora sarò io costretto da me stesso ad esaminarlo, capire se ne vale la pena, se vale la pena rischiare il mio tempo, il mio affetto e la mia attenzione per quel qualcuno.

Correre mi mancava.
Il rischio, l'euforia ed il brivido di paura che mi dava la possibilità di finire come mio padre, mi mancava,
ma odiavo vedere ogni volta il cranio del mio defunto con quella traumatica crepa, ed il timore di mia madre, quando non capiva da dove fuoriuscisero i soldi che portavo a casa.
Mi era d'obbligo smettere, mi era d'obbligo rifiutarmi di gareggiare ancora per Walter.

Questione di fiducia Where stories live. Discover now