C A P I T O L O 9

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D A M I À N

—Hei Harrison, dovrei chiederti un favore.

Di nuovo no.

—Dimmi pure.— dico sarcasticamente mentre finisco di allacciarmi le scarpe.

—Avrei un impegno mercoledì.— spiega— Nel caso, puoi coprirmi tu, giusto?

—No, non posso Daniel, devo studiare.

—Andiamo, per favore!— esclama.

—È la terza volta che ti copro in tre settimane, ti sto dicendo che non posso!— insisto.

—Ma è una questione importante!— continua.

—Devo studiare chimica, il giorno dopo ho un compito— continuo.

—Potresti studiare di pomeriggio— suggerisce.— Andiamo, fallo per un amico— implora.

—Ascolta, credi che sia facile prendere ordinazioni per i tavoli e stare dietro al bancone contemporaneamente?— chiedo.

—Ricorda che anch'io ti ho sostituito una volta!

—Mia sorella aveva la febbre! E mia madre non poteva lasciarla sola per andare in farmacia. Lo consideri un equo paragone, questo?

—Te lo chiedo per favore, Dam, sarà l'ultima volta, te lo prometto.— chiede di nuovo incrociando le dita.
Mi passo le mani tra i capelli come segno di frustrazione.

—E va bene...— cedo.

—Ti devo un favore!

—Ma sarà l'ultima volta— avverto con il dito puntato verso di lui in segno di fermezza.

Sinceramente, non so come farò, quello che so è che se lo viene a sapere mia madre, sarebbe capace di farmi licenziare.

A volte credo che abbia ragione quando dice che dovrei lasciare il lavoro, e magari trovarne un altro, se solo fosse così facile trovare qualcuno che assuma minorenni.

"Minorenni"... non per essere modesto ma ho molta più esperienza di tanti "maggiorenni" che vengono considerati più idonei solo perché più grandi.
Che cazzata.

Non mi considero "sottopagato" ma molte volte sono rimasto il più delle ore a lavoro, ho sostituito i miei colleghi e ho fatto più ruoli contemporaneamente, quindi un extra sarebbe meritato...

Dovrò organizzarmi se giovedì mattina vorrò farcela ad alzarmi dal letto e arrivare a scuola per lo meno senza sembrare che sia ubriaco.

Non me ne faccio una colpa, ognuno ha le sue divergenze, il lavoro è la mia, nessuno mi obbliga a farlo, come nessuno mi obbliga a smettere, e tra fare e non fare, io preferisco fare, sempre meglio che non fare nulla –non che altrimenti non avessi qualcosa da fare–.

È vero, non sarebbe necessario tutto questo, potrei benissimamente stare a casa e dedicarmi allo studio, mia madre lavora e il suo stipendio è il doppio del mio, ma c'è qualcosa che mi impedisce di farlo, e pensandoci, dopo un po' realizzo che questa "aggiunta" come io la chiamo, ha solo lo scopo di dare a mia sorella ciò che non ho avuto io, o che ho avuto fino ad un tempo.

Non so, forse sarà anche il fatto che voglia colmare il vuoto della figura paterna, ed è vero che il materiale non può sostituirla, ma tutto ciò che faccio, in fondo lo faccio per lei, come se mi sentissi in dovere di farlo.

Una notifica mi distrae, è mia madre che mi chiede se sono arrivato a lavoro, digito un "si" sulla tastiera, mi infilo il grembiule e i guanti, poi sono pronto per entrare in scena.

Oggi sono quattro ore, e dopo gli allenamenti di calcio, ho promesso a Liam che non sarei mancato, si, forse prometto troppe cose.

Non sono tutto carne e responsabilità, a volte mi faccio passare qualche sfizio, sono pur sempre un adolescente, mi prendo del tempo per me e faccio cura dei miei progetti personali.

Iniziarono ad arrivare i primi clienti, e l'unica cosa a cui riesco a pensare è dormire.

Da poco, il mio capo ha cambiato i turni, e quindi due volte alla settimana –escludendo il weekend, nel quale lavoro solo fino a metà giornata, e solo il sabato come ora– dovrò fare i turni di notte, o meglio, dovrei iniziare alle nove di sera e terminare alle tre e mezza del mattino, questo se il mio amato collega rispettasse gli orari.

Per lo meno oggi è leggera, mi tocca solo fare il mio compito da barista, la mattina è tranquilla, nessuno ubriaco, nessun portafoglio perso e niente bevande rovesciate sul pavimento, devo solo dividermi tra caffè e cappuccini, uno dietro l'altro.

Certo, non farò questo lavoro per sempre, l'idea di restare dietro ad un bancone a fare drink e latte caldo mi fa sentire oppresso, ma per ora posso conformarmi.

Non sono solito a pianificare il mio futuro, ma se c'è una professione che mi attira è la logopedia, ho sempre voluto fare un lavoro che mi tenesse a contatto coi bambini.

Il tempo iniziava a passare, anche più velocemente del previsto, erano quasi le undici e questo che avevo in mano era il millesimo cappuccino che dovevo fare, tutto questo odore di dolce mi stava facendo venire la nausea e qui dietro c'è sempre un caldo bestiale.

—Ecco a lei— poggio la tazza sul bancone col capo girato verso il fornetto, per controllare le ultime cose che riscaldava.

—Ma io non ho chiesto nulla.— ora sbagliavo anche gli ordino, avevo bisogno di buttarmi un secchio d'acqua fredda addosso.

Alzo il capo per riprendere la tazza e questa volta davvero avevo bisogno di sciacquarmi il viso.

—Mi stai seguendo, rubia?— domando sconcertato.

Aveva una camicia a maniche corte di un rosa chiaro, le donava, sembrava un'infermiera.

—Come se non avessi nulla di meglio da fare.— dice sorridendo falsamente— Una bottiglietta d'acqua per favore, fredda.

—Liscia o gasata?

—Liscia.

—Perché sei qui, Ella?— domando con disinvoltura.

—Che ti importa?— domanda di scatto.

La biasimo, aveva tutte le ragioni per non voleraver nulla a che fare con me.

—Era solo una domanda, quanto sei acida.

—Qui affianco c'è un edificio per le analisi.— spiega— vengo da lì.

—Se hai fatto le analisi dovresti mangiare qualcosa.— consiglio.

—Per caso la stai fabbricando tu stesso la bottiglietta?— con questa ragazza non si può essere gentili.

—Volevo solo essere cortese, sicura di non volere un po' di zucchero? Almeno ti addolcisci.— propongo ironico.

—Non perdo tempo ad essere dolce con chi mi da della poco di buono.— risponde con la stessa acidità di prima.

—Il fine giustifica i mezzi.

—Vaffanculo.— dice aggrottando le sopracciglia, per poi girarsi e andarsene.

Diciamo che ho esagerato un po', ma mi è venuto spontaneo, eppure il piano era chiederle scusa, non farla arrabbiare ancora di più.

Questione di fiducia Where stories live. Discover now